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Le istituzioni fiorentine e il Kurdistan iracheno

4 maggio 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

Le Istituzioni fiorentine da lunga data sono dalla parte di coloro che si battono per i propri diritti.
Ne è testimonianza questo comunicato stampa (clicca su “Leggi tutto”) per la visita, in Palazzo Vecchio, della scrittrice Laura Schrader, in occasione del Newroz, il Capodanno curdo.
I rappresentanti della Commissione Pace del Comune di Firenze, il 25 marzo di sei anni fa, esprimevano la denuncia della violazione dei diritti umani nel Kurdistan Iracheno e lanciavano la proposta di una campagna di adozione a distanza dei bambini orfani.

La delegazione dell’Ufficio italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è rientrata da poco da una visita in quel martoriato Paese. Facevo parte della delegazione ed ero anche latore di un messaggio di Leonardo Domenici sindaco di Firenze e vice-presidente della MfP per il sindaco di Halabja.

Abbiamo visto le sofferenze causate dai tanti lutti. Abbiamo imparato a conoscere il desiderio di autonomia dei curdi. Il loro orgoglio. La volontà di costruire un Paese che cerca la pace.
L’incontro con Mrs. Hero Talabani, moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani, ci ha permesso di affrontare un tasto particolarmente doloroso. La First Lady presiede, infatti, l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Da allora, sono più di 2800 le adozioni a distanza realizzate.
Un filo conduttore invisibile, eppure concreto, collega e mette in rete Firenze con realtà come quella del Kurdistan Iracheno. Perché, in qualche modo, mi fa piacere pensare che non può essere un caso se la delegazione italiana ha gettato concretamente il seme, per il Newroz del 2006, di quei progetti, di quelle idee delle quali avevano parlato i rappresentanti delle Istituzioni fiorentine nella primavera del 2000.


COMUNICATO STAMPA

Firenze, 25 Marzo 2000

PALAZZO VECCHIO IN AIUTO DEL KURDISTAN

Ogni sopruso commesso nel Kurdistan non rimarrà sotto silenzio ma da Firenze verrà denunciato con forza a tutte le istituzioni politiche mondiali. La promessa di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia che ogni giorno vive il popolo kurdo è stata fatta ieri sera dal Presidente della commissione consiliare Pace e solidarietà internazionale Lorenzo Marzullo durante l’incontro-dibattito, in Palazzo Vecchio, con la scrittrice e giornalista Laura Schrader. Marzullo ha sottolineato che la commissione Pace, da Firenze, «controllerà e denuncerà ogni violazione dei diritti umani nel Kurdistan». Anche il Presidente del Consiglio comunale ha sottolineato come il popolo kurdo «viva in condizioni tragiche e disperate e nella generale disattenzione» ed ha auspicato che «il Kurdistan possa diventare uno stato autonomo e sovrano capace di decidere autonomamente del proprio destino».
Dal canto suo la consigliera Susanna Agostini ha lanciato la proposta di una campagna di adozioni a distanza dei bambini orfani del Kurdistan iracheno, in particolar modo di quelli che ancora abitano nelle città distrutte dai soldati di Saddam Hussein.
Secondo il consigliere Rodolfo Cigliana «va sottolineato il duplice intento della commissione Pace». «Anzitutto - ha detto Cigliana - quello di sollecitare una nuova maggiore attenzione della comunità internazionale tramite la città di Firenze per il “problema kurdo”, nel nome del rispetto dei diritti delle minoranze». «Poi - ha proseguito Cigliana - quello di sollecitare nuove forme di solidarietà con un intervento internazionale a favore del popolo kurdo ancora oggi costretto alla diaspora e un intervento locale a favore dei profughi presenti nella nostra città attraverso una più ampia conoscenza delle radici storiche e delle tradizioni culturali». (fn)

Nota: Pubblicato anche su http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_16141.html

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Appunti da un viaggio in Kurdistan

21 aprile 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

APPUNTI DA UN VIAGGIO IN KURDISTAN

Una delegazione dell’Ufficio Italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è stata nel Kurdistan Iracheno, ospite del sindaco di Halabja, Khidr Karem Aktar.
Vivere dieci giorni in un Paese che conosciamo esclusivamente attraverso le immagini dei telegiornali. Il popolo curdo è attualmente diviso tra Irak, Iran,Turchia e Siria. Forte il desiderio di autodeterminazione. Il sogno, un giorno essere un solo Paese. Proviamo, allora, a dipanare il filo di Arianna delle nostre emozioni.
La delegazione aveva ricevuto l’invito a partecipare, il 16 marzo, alla commemorazione del bombardamento con armi chimiche del 1988 durante il quale, a Halabja, morirono oltre 5.000 civili e ci furono più di 10.000 feriti, su una popolazione di 70.000 abitanti.

Abbiamo visitato anche alcuni di quei 5000 villaggi bombardati tra il 1987 e il 1988. E’ l’Anfal. 182000 le vittime. Desaparecidos. Tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni.
Il sindaco di Halabja , Khidr Karem Aktar, 46 anni, personalità forte, i folti baffi che scendono appena sui lati della bocca, al centro di un viso aperto e volitivo. Abiti impeccabili. Il sorriso accattivante. Per noi tutti, riferimento istituzionale costante, in questo viaggio attraverso una terra bellissima e sconosciuta.
Il 15 marzo a Halabja abbiamo visitato la scuola costruita, nel 1998, con i soldi raccolti dagli abitanti di Marzabotto, che avevano versato un’ora di salario. La scuola, per 500 bambini delle primarie, fino ai 12 anni, è composta da una decina di classi. Porta il nome di Marzabotto, così come la via e il quartiere. C è una radicata riconoscenza, a Halabja, verso la città che ha permesso di costruire la scuola. Avevamo con noi zainetti per tutti i bambini.
La visita è proseguita al Mausoleo che ricorda le vittime della strage. Per tutto il Kurdistan, un simbolo della libertà conquistata.
La mattina dopo stavamo per arrivare a Halabja, quando ci ha fermato una telefonata del sindaco. Non potevamo entrare in città.
Era prevista una manifestazione di studenti. Protestavano, accusando il Governo di ricordarsi di Halabja una volta l’anno, il 16 marzo. Chiedevano che, in questa martoriata città, si avviassero gli investimenti economici, da anni promessi e non mantenuti. Per dare visibilità alla manifestazione, avevano deciso che il corteo avrebbe raggiunto il Mausoleo.
C’erano 2/3 mila persone. Manifestanti con il viso coperto hanno attaccato, con le armi, i soldati. Distrutto e incendiato il Mausoleo. Dopo oltre un’ora di battaglia le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo della situazione.
Nel frattempo, sulla strada che da Sulaymanya va a Halabja, abbiamo visto transitare due camion. A bordo, le teste di cuoio curde. I kalashnikov in braccio, i passamontagna neri calati sul viso.
Alla fine, 1 morto e 17 feriti. Un bilancio pesante davvero.
La posizione ufficiale del Governo è che fin dal giorno precedente, nella zona erano state notate persone non del luogo. Era stato fermato un curdo proveniente dal vicino Iran che doveva compiere un attentato. Fino al 2003, qui operavano i Ginud (Soldati) Al Islam, poi divenuti Ansar Al Islam, vicini ai fondamentalisti religiosi. Il confine iraniano, a 15 chilometri, corre lungo le montagne Shinerwe, a marzo ancora innevate, che facilitano infiltrazioni.
La commemorazione prevista è stata possibile effettuarla due giorni dopo. Il Consiglio Comunale insieme ai rappresentanti dei familiari delle vittime. I volti di pietra tradiscono una vita dura. Tanti lutti alle spalle. E davanti, un futuro difficile. Prende la parola anche Najmadin Muhamad Amin, geologo. E’ il Presidente del Consiglio Comunale. Le sue parole, di grande sobrietà, ci ricordano, ancora una volta, il dramma quotidiano di questa città.
Poi la cerimonia al cimitero. Il cimitero delle vittime dei bombardamenti chimici. Tante, tantissime lapidi. Allineate, una accanto all’altra, tutte uguali. Una per ogni famiglia, con i nomi delle persone scomparse. Cimitero senza morti. Perché i morti furono raccolti in fosse comuni, lì accanto. Una Spoon River mai cantata da nessun Edgar Lee Masters. La deposizione di una corona di fiori di carta, in una terra che non ha fiori.
Incontro Arass, dell’Halabja Chemical Victims Society. Una trentina d’anni, alto, il corpo incredibilmente magro. Il naso grande sopra un bel paio di baffi sul viso allungato. Mi stringe forte la mano. Mi guarda negli occhi. Il suo è uno sguardo infinitamente addolorato. Interrogativo. Vuol sapere se non dimenticheremo. Improvvisamente lo vedo abbassare gli occhi. Abbandonarsi al ricordo delle persone care scomparse nell’eccidio. Nessuna famiglia ne è immune. Un novello inviato di Erode, quel giorno, entrò in tutte le case di Halabja.

E se la strage di Halabja una sua sinistra notorietà, a livello internazionale, l’ha raggiunta, cosa dire del silenzio a lungo calato sulle stragi di Balessan e Shek Wassan.
Per 72 ore gli aerei bombardarono con armi chimiche questi villaggi e successivamente le montagne, verso il confine vicino, dove era stato previsto, come infatti accadde, che i fuggiaschi avrebbero cercato rifugio. I feriti che cercavano di raggiungere gli ospedali, catturati, vennero sepolti vivi.
E mentre i responsabili del villaggio ci raccontano tutto questo, i bambini accorrono dai vicoli, attratti dai palloncini colorati che abbiamo portato e che Fulgida, Lara e Luciano stanno gonfiando a tempo di record.

Erbil è la capitale. Con oltre 5.000 anni di storia è considerata la città più antica del mondo. E’ qui che si è sviluppata la civiltà dei sumeri.
Il Kurdistan, ottenuta l’autonomia politica, si suddivide in tre Province. Le principali, a nord la provincia di Erbil, a maggioranza PDK. A sud quella di Sulaymanya, governata dal PUK. I governanti locali, che potrebbero corrispondere ai nostri assessori regionali, sono chiamati ministri.
Il Parlamento è di 105 deputati. Vi sono rappresentate anche minoranze etniche e religiose, tra le quali quella cristiana copta. In Parlamento le quote rosa raggiungono percentuali elevate.
Fin dal giorno del nostro arrivo abbiamo avuto l’opportunità di incontri con le autorità centrali e locali.

Abbiamo incontrato una decina di sindaci di città e villaggi della Provincia di Sulaymanya.
I sindaci, per quel che abbiamo compreso, svolgono un ruolo da noi rappresentato, in parte, dai prefetti. Infatti hanno anche compiti di ordine pubblico, in una quotidianità sempre a rischio di attentati.
Realtà sociali spesso molto diverse tra loro, con profonde disuguaglianze, che aumentano a dismisura appena usciamo dalle sterminate metropoli di 800/900 mila abitanti, tipiche del Medio Oriente, come Erbil e Sulaymanya, e ci si addentra tra le montagne brulle, verso il confine con l’Iran, dove si vive di pastorizia e dove le abitazioni sono casupole di pietra con i tetti di fango.
Gli incontri avvengono nelle sedi dove i sindaci svolgono la loro attività istituzionale. Palazzine a un piano. Stanze spesso disadorne. L’indispensabile dei tempi di guerra. Sui tavolini, sempre il cesto della frutta. Ti offrono il caffè nero speziato, in minuscole tazze colorate. E il tè bollente, nei tipici bicchieri mediorientali di provenienza turca. In un angolo, la televisione. Sempre accesa, sottofondo costante dei nostri incontri istituzionali. Fuori, polvere e soldati armati, raccolti a gruppi, o seduti per terra, a chiacchierare. O acciambellati sopra le camionette scoperte, a fumare. In attesa di un nemico. Moderna Fortezza Bastiani. Ma qui, i soldati non aspettano l’arrivo dei misteriosi nemici dal nord del deserto dei Tartari. Qui il pericolo può nascondersi ovunque.

Abbiamo visitato l’ospedale di Emergency di Sulaymanya, attivo dal 1998, dove si curano le vittime delle mine. Quasi dieci milioni sparse sulle montagne. Di fabbricazione in gran parte italiana. Il periodo di degenza è di sei mesi. L’ospedale non ha soltanto lo scopo di preparare le protesi per sostituire gli arti mancanti, insegnando ai pazienti ad utilizzarle. Svolge anche un ruolo fondamentale aiutando il reinserimento sociale di queste persone. Qui i ricoverati imparano un mestiere. D’altro canto, in buona parte erano pastori, perché è sulle montagne che sono seppellite le mine. I corsi per gli uomini sono per falegname, fabbro, calzolaio. Quelli per le donne sono di cucito.
Sempre a Sulaymanya siamo stati alla Facoltà di Medicina. L’incontro con il Dr. Nazar Mohammad Amin. Intorno, gli studenti. Ci vogliono ricordare quando scoppiò la guerra, e la popolazione si rifugiò sulle vicine montagne. Gli studenti, con il loro insegnante, indossarono il camice bianco per curare i feriti ed insieme imbracciarono il kalashnikov per difendere l’Università dalle scorrerie dei fondamentalisti religiosi. Qui vengono curati i bambini che ancora oggi, figli di chi subì i bombardamenti chimici, nascono con gravi malformazioni.

L’incontro più importante, con Mrs. Hero Ahmed Talabani moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani. Mrs. Talabani, un donna minuta, gli occhi vividi, i capelli corvini che scendono appena sulle spalle. Ex partigiana, presiede l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Si occupa dell’infanzia abbandonata. Sono più di 2800 le adozioni a distanza già realizzate.
Con Mrs. Talabani abbiamo parlato delle conseguenze delle stragi con le armi chimiche compiute 18 anni fa. Dovranno trascorrere 3 o 400 anni prima che il terreno e le acque non siano più contaminati. Il problema è che non si conosce ancora la composizione esatta di queste armi. Gli agenti chimici usati erano una miscela di iprite e di gas asfissianti nervini, tra i quali sarin, tabun e VX. I sopravvissuti, di quel giorno, ricordano soltanto l’odore dolciastro nell’aria. Gli unici, in Occidente, che hanno studiato l’argomento, sono gli specialisti dell’Università di Liverpool. L’appello che Mrs. Talabani ci ha rivolto, è di comunicare al mondo questa tragedia. Di non lasciarli soli. C’è la necessità di avviare una ricerca sulle conseguenze di contaminazioni chimiche di seconda generazione.

Andrea Misuri ha partecipato alla missione di pace nel Kurdistan iracheno ed è stato latore del messaggio che il Sindaco di Firenze e vicepresidente della Campagna “Mayors for Peace”, Leonardo Domenici, ha inviato al Sindaco di Halabja.

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