2005 - IPB-ITALIA - Associazione per la pace, il disarmo, la soluzione nonviolenta dei conflitti

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Archivio del 2005

Discorso di Danilo Raveggi al 6° Summit dei Premi Nobel per la Pace

26 novembre 2005 Pubblicato da roberto

Chiarissimi Laureati, Gentili Signore, Signori:

Cominciamo solo oggi a prendere una piena coscienza della “nuova” realtà storico-politica nella quale l’asse di crisi internazionale Est-Ovest ha ruotato verso il Nord-Sud del pianeta, con la perdita di un ventennale “equilibrio del terrore” e una inquietante crescita nel numero dei conflitti locali.

Non è certo solo un problema del continente africano, luogo di fortissime tensioni politiche, religiose, etniche e postcoloniali, teatro di eventi bellici fin troppo spesso dimenticati dall’attenzione morale e mediatica dell’occidente. L’emergenza guerra dell’Africa è specchio crudele della difficoltà di affrontare incisivamente i temi della pace in tutto il pianeta. Potremmo, in buona fede, affermare che l’orrore e la violenza armata che oggi viviamo nel mondo sia il prodotto fedele della volontà di tutti i suoi abitanti?
Evidentemente no.

Ma anche nelle nostre più sofisticate forme di democrazia occidentale il cittadino “in materia di pace e di guerra” appare alla stregua di un suddito delle più autoritarie monarchie assolute del passato; spossessato del proprio diritto di scelta e letteralmente trasparente, inesistente, davanti alle sempre poco chiare “ragioni di stato” che inducono i governi a scelte aggressive e violente. Il diritto al rifiuto di tale politica è rimandato alle consultazioni elettorali di fine legislatura, quando è comunque sempre troppo tardi per inferire realmente nei fatti e per rimediare ai misfatti.

Diviene allora decisiva la così detta “società civile” che si organizza in modo autonomo secondo il proprio principio di umanità solidale e cooperativa, e che, spesso, è l’unica voce che si contrappone alla politica dei singoli Stati.

E’ una storia luminosa, quella della “società civile” che nasce nel XIX secolo con le menti più all’avanguardia del tempo che, ignorando i confini delle Nazioni e prescindendo da condizioni politiche, economiche, culturali e religiose, definirono il concetto stesso di pace che oggi è il nostro e fondarono gli strumenti focali di una società planetaria meno iniqua. Il Comitato Internazionale di Croce Rossa, La Fondazione Nobel ed il suo Premio per la Pace, l’International Peace Bureau, l’Arbitrato Internazionale, il Diritto Internazionale Umanitario sono stati concretizzati e riconosciuti dagli Stati grazie al lavoro di un segmento della società civile che ha saputo essere forte e capace perché espressione di temi così alti e nobili, dotati di una logica così profonda, da non poter essere negati da alcuno. Il pensiero/origine che permise la realizzazione di questi obiettivi fu la “riscoperta” dell’importanza dell’individuo associata al concetto di “umanità”: dignitosi esseri umani e non più carne da macello per le battaglie. Questi nostri “padri”, questa piccola moltitudine di persone, pionieri del futuro, furono donne ed uomini che fecero propri i valori di Libertà di Coscienza, di Eguaglianza e di Tutela dei Diritti di ciascuno, della Fratellanza tra tutti i popoli della Terra senza distinzione di razza e di credo religioso e si dedicarono con tutta la loro forza e passione affinché questi valori si concretizzassero, migliorando l’Umanità.

Ancor oggi, a volte, immemore della sua stessa storia, la “società civile” continua a crescere e nelle sue forme di movimentismo è riuscita a sensibilizzare sempre più grandi numeri di cittadini di tutto il mondo contro la guerra.

Purtroppo, lo stato di non-guerra è ancora ben lontano dall’ essere una vera “pace”. Occorre dunque che la società civile rifondi consapevolmente nella propria anima l’organizzazione dei movimenti ed il Ricorso Storico; consolidando il riconoscimento ed il rispetto del pensiero e della vita dell’umanità perché possa costituire il più significativo trasformatore del bisogno di pace delle “genti” attuandolo in progetti concreti ed operativi. Trasformare questi bisogni con la convinzione e l’autorevolezza necessaria a far sì che si possa applicare una potente leva trasversale capace di imporre una definitiva volontà di pace e dare una voce vera e concreta all’ “Altra Forza” planetaria ancora oggi pressoché ignorata: quella dei non rappresentati, degli umili, degli ignoranti, degli schiavi, dei senza diritti, dei malati, dei carcerati, dei minori.

Per questi motivi l’Africa, martoriata come non mai, con la sua emergenza continua, rappresenta il primo banco di prova più significativo e prossimo; e può, anzi deve, divenire al contempo la fucina ed il crogiuolo di nuove e determinanti riflessioni autonome, di idee e di concrete realizzazioni dell’umano operare per una vita planetaria in cui la patologia della guerra sia totalmente abolita, estirpata, assente.

Così trovo calzante la citazione di uno studioso, amico e scienziato italiano:

“L’oggi è il domani di cui dovevamo preoccuparci ieri”.

Possa spronarci, con la sua semplicità, a recuperare il troppo tempo perduto nell’inseguire sentimenti egoistici e a realizzare finalmente il progetto di Pace Globale!

Roma, lì 26 novembre 2005 - Danilo Raveggi

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Guenther Anders: Tesi Sull’Età atomica

20 novembre 2005 Pubblicato da roberto

Dall’odierno “La domenica della nonviolenza” una riflessione significativa di Guenther Anders. Un testo apocalittico, significativo nel ricordare la nostra era come quella in cui in ogni momento - e a causa del potere atomico - l’intero pianeta può venire distrutto.
Una “fine dei tempi” però non segnata da un destino, dal momento che contro questa prospettiva siamo ancora chiamati a lottare.

Per una nota biografica dell’autore, e per le sue ulteriori riflessioni presenti, si rimanda al testo prodotto oggi dal Centro di ricerca per la pace, nel sito di Peacelink.


Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e’
cominciata un nuova era: l’era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un’altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio’ significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest’epoca e’
l’ultima: poiche’ la sua differenza specifica, la possibilita’
dell’autodistruzione del genere umano, non puo’ aver fine - che con la fine
stessa.
*
Eta’ finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
“dilazione”; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda “Come dobbiamo vivere?” si e’
sostituita quella: “Vivremo ancora?”. Alla domanda del “come” c’e’ - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: “Dobbiamo fare in modo
che l’eta’ finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo”.
Poiche’ crediamo alla possibilita’ di una “fine dei tempi”, possiamo dirci
apocalittici; ma poiche’ lottiamo contro l”apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e’ un tipo che non c’e’ mai stato finora) “nemici dell’apocalissi”.
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell’attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l’altro) anche “armi atomiche”, e’ un
inganno. Poiche’ la situazione attuale e’ determinata esclusivamente
dall’esistenza di “armi atomiche”, e’ vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio’ contro cui lottiamo, non e’ questo o
quell’avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se’. Poiche’ questo nemico e’ nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: “La minaccia totalitaria puo’ essere neutralizzata
solo con la minaccia della distruzione totale”. E’ un argomento che non
regge. 1) La bomba atomica e’ stata impiegata, e in una situazione in cui
non c’era affatto il pericolo, per chi la impiego’, di soccombere a un
potere totalitario. 2) L’argomento e’ un relitto dell’epoca del monopolio
atomico; oggi e’ un argomento suicida. 3) Lo slogan “totalitario” e’ desunto
da una situazione politica, che non solo e’ gia’ essenzialmente mutata, ma
continuera’ a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita’
di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione
totale, e’ totalitaria per sua natura: poiche’ vive del ricatto e trasforma
la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse
della liberta’, l’assoluta privazione della stessa, e’ il non plus ultra
dell’ipocrisia.
*
Cio’ che puo’ colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle “cortine”. Cosi’,
nell’eta’ finale, non ci sono piu’ distanze. Ognuno puo’ colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale,
ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l’orizzonte di cio’ che ci
riguarda, e cioe’ l’orizzonte della nostra responsabilita’, coincida con
l’orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe’ che
diventi anch’esso globale. Non ci sono piu’ che “vicini”.
*
Internazionale delle generazioni. Cio’ che si tratta di ampliare, non e’
solo l’orizzonte spaziale della responsabilita’ per i nostri vicini, ma
anche quello temporale. Poiche’ le nostre azioni odierne, per esempio le
esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch’esse rientrano
nell’ambito del nostro presente. Tutto cio’ che e’ “venturo” e’ gia’ qui,
presso di noi, poiche’ dipende da noi. C’e', oggi, un’”internazionale delle
generazioni”, a cui appartengono gia’ anche i nostri nipoti. Sono i nostri
vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si
appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora
costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati
appartengono a questa “internazionale”: poiche’ con la nostra fine
perirebbero anch’essi, per la seconda volta (se cosi’ si puo’ dire) e
definitivamente. Anche adesso sono “solo stati”; ma con questa seconda morte
sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio’ che conferisce il massimo di pericolosita’ al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e’ il fatto che non siamo attrezzati
alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe.
Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e’
gia’ di per se’ abbastanza difficile; ma e’ un gioco da bambini rispetto al
compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche’ questo
nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l’inesistenza di
qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e
permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe’ il mondo
stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa “astrazione totale” (che
corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell’immaginazione, alla nostra
capacita’ di distruzione totale) trascende le forze della nostra
immaginazione naturale. “Trascendenza del negativo”. Ma poiche’, come
homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla
totale), la capacita’ limitata della nostra immaginazione (la nostra
“ottusita’”) non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di
rappresentarci anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca:
“Noi siamo inferiori a noi stessi”, siamo incapaci di farci un’immagine di
cio’ che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo “utopisti a
rovescio”: mentre gli utopisti non sanno produrre cio’ che concepiscono, noi
non sappiamo immaginare cio’ che abbiamo prodotto.
*
Lo “scarto prometeico”. Non e’ questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell’uomo odierno: la frattura che
divide l’uomo (o l’umanita’) non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra
il dovere e l’inclinazione, ma fra la nostra capacita’ produttiva e la
nostra capacita’ immaginativa. Lo “scarto prometeico”.
*
Il “sopraliminare”. Questo “scarto” non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita’ e produzione.
Si puo’ forse immaginare, sentire, o ci si puo’ assumere la responsabilita’,
dell’uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu’ grande e’ l’effetto possibile dell’agire, e tanto piu’ e’ difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu’ grande lo “scarto”,
tanto piu’ debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone
premendo un tasto, e’ infinitamente piu’ facile che ammazzare una sola
persona. Al “subliminare”, noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo
per provocare gia’ una reazione), corrisponde il “sopraliminare”: cio’ che
e’ troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un
meccanismo inibitorio).
*
La sensibilita’ deforma, la fantasia e’ realistica. Poiche’ il nostro
orizzonte vitale (l’orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti)
e l’orizzonte dei nostri effetti e’ ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla “naturale ottusita’” della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e’ solo l’immaginazione che puo’ fungere da organo
della verita’. In ogni caso, non e’ certo la percezione. Che e’ una “falsa
testimone”: molto, ma molto piu’ falsa di quanto avesse inteso ammonire la
filosofia greca. Poiche’ la sensibilita’ e’ - per principio - miope e
limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli
“escapisti” di oggi non e’ la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe’, secondo la prospettiva normale): benche’ realistici
in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche’ sono in
contrasto con la realta’ del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente
dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva “rappresentazione del nulla” non si
identifica con cio’ che si intende in psicologia per “rappresentazione”; ma
si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta’ e al grado della minaccia, e’ quindi il grado
della nostra angoscia. - Nulla di piu’ falso della frase cara alle persone
di mezza cultura, per cui vivremmo gia’ nell’”epoca dell’angoscia”. Questa
tesi ci e’ inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che
noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi
viviamo piuttosto nell’epoca della minimizzazione e dell’inettitudine
all’angoscia. L’imperativo di allargare la nostra immaginazione significa
quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura.
Postulato: “Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche
quello di far paura. Fa’ paura al tuo vicino come a te stesso”. Va da se’
che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1)
Un’angoscia senza timore, poiche’ esclude la paura di quelli che potrebbero
schernirci come paurosi. 2) Un’angoscia vivificante, poiche’ invece di
rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un’angoscia
amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio’ che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L’imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche’ corrispondano a quella di cio’
che possiamo produrre e provocare, si rivelera’ continuamente
irrealizzabile. Non e’ nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di
fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci
spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del
tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e’ salutare, poiche’ ci mette in
guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio’ che non possiamo
immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio’ che si e’ detto sulla “fine
delle distanze” e sullo “scarto” tra le varie facolta’ (e solo cosi’ ci si
puo’ fare un’idea completa della situazione), risulta che le distanze
spaziali e temporali sono state bensi’ “soppresse”; ma questa soppressione
e’ stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di “distanza”: quella,
che diventa ogni giorno piu’ grande, fra la produzione e la capacita’ di
immaginare cio’ che si produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio’ che possiamo concepire (sentire, o di cui
possiamo assumerci la responsabilita’), ma anche maggiori di cio’ che
possiamo utilizzare sensatamente. E’ noto che la nostra produzione e la
nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a
produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta
trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non
possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi’ ci siamo
messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi
prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le
forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette “pulite”,
sono senza precedenti nel loro genere: poiche’ con essi cerchiamo di
migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe’ diminuendo i loro effetti.
L’aumento dei prodotti non ha quindi piu’ senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia’ oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l’aumento e miglioramento della produzione,
che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu’ assurdi; e
dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa
hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della
concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu’ morto che morto non e’ possibile
diventare. Distruggere meglio di quanto gia’ si possa, non sara’ possibile
neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e’ prova d’incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i “signori
dell’apocalissi”, quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu’ di
noi all’altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l’inaudito meglio di noi, semplici “morituri”; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu’ legittimo e’ il sospetto: che ne
siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo
incompetenti nel “campo dei problemi atomici e del riarmo”, e invitandoci a
non “immischiarci”. L’uso di questi termini e’ addirittura la prova della
loro incompetenza morale: poiche’ in tal modo essi mostrano di credere che
la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del “to
be or not to be” dell’umanita’; e di considerare l’apocalissi come un “ramo
specifico”. E’ vero che molti di loro si appellano alla “competenza” solo
per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola
“democrazia” ha un senso, e’ proprio quello che abbiamo il diritto e il
dovere di partecipare alle decisioni che concernono la “res publica”, che
vanno, cioe’, al di la’ della nostra competenza professionale e non ci
riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si
puo’ dire che cosi’ facendo ci “immischiamo” di nulla, poiche’ come
cittadini e come uomini siamo “immischiati” da sempre, perche’ anche noi
siamo la “res publica”. E un problema piu’ “pubblico” dell’attuale decisione
sulla nostra sopravvivenza non c’e’ mai stato e non ci sara’ mai.
Rinunciando a “immischiarci”, mancheremmo anche al nostro dovere
democratico.
*
Liquidazione dell’”agire”. La distruzione possibile dell’umanita’ appare
come un’”azione”; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E’
giusto? Si’ e no. Perche’ no?
Perche’ l’”agire”" in senso behavioristico non esiste pressoche’ piu’. E
cioe’: poiche’ cio’ che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come
tale dall’agente, e’ stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal
lavorare; 2) dall’azionare.
1) Lavoro come surrogato dell’azione. Gia’ quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano “fatto nulla”, credevano di
non aver fatto nulla perche’ si erano limitati a “lavorare”. Per questo
“lavorare” intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella
fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l’eidos del lavoro rimane
invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu’, e non puo’ ne’
deve piu’ riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e’ che esso resta
moralmente neutrale: “non olet”, nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo
lavoro puo’ macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione
sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come
mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all’autore di un eccidio di
sentirsi colpevole, poiche’ non solo non occorre rispondere del lavoro che
si fa, ma esso - in teoria - non puo’ rendere colpevoli. Stando cosi’ le
cose, dobbiamo rovesciare l’equazione attuale (”ogni agire e’ lavorare”)
nell’altra: “ogni lavorare e’ un agire”.
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio’ che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l’azionare, poiche’ l’azionare e’ il lavoro in cui e’
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta’, si puo’ fare in tal
modo pressoche’ tutto, si puo’ avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e’
piu’ un lavoro (per non parlare di un’azione). Propriamente parlando non si
fa nulla (anche se l’effetto di questo non-far-nulla e’ il nulla e
l’annientamento). L’uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora
necessario) non si accorge piu’ nemmeno di fare qualcosa; e poiche’ il luogo
dell’azione e quello che la subisce non coincidono piu’, poiche’ la causa e
l’effetto sono dissociati, non puo’ vedere che cosa fa. “Schizotopia”, in
analogia a “schizofrenia”. E’ chiaro che solo chi arriva a immaginare
l’effetto ha la possibilita’ della verita’; la percezione non serve a nulla.
Questo genere di mimetizzamento e’ senza precedenti: mentre prima i
mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell’azione, e
cioe’ al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli
autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all’autore
di sapere quello che fa. In questo senso anche l’autore e’ una vittima; in
questo senso Eatherly e’ una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche’ oggi le menzogne
non hanno piu’ bisogno di figurare come asserzioni (”fine delle ideologie”).
La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento
davanti a cui non puo’ piu’ sorgere il sospetto che possa trattarsi di
menzogne; e cio’ perche’ questi travestimenti non sono piu’ asserzioni.
Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita’, ora
si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l’impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta’, hanno
gia’ in se’ il loro (bugiardo) predicato. Cosi’, per esempio, l’espressione
“armi atomiche” e’ gia’ un’asserzione menzognera, poiche’ sottintende,
poiche’ da’ per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta’ subentrano (e siamo al punto
che abbiamo appena trattato) realta’ falsificate. Cosi’ determinate azioni,
presentandosi come “lavori”, sono rese diverse e irriconoscibili; cose’
irriconoscibili, e diverse da un’azione, che non rivelano piu’ (neppure
all’agente) quello che sono (e cioe’ azioni); e gli permettono, purche’
lavori “coscienziosamente’, di essere un criminale con la miglior coscienza
del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche’ l’agire si traveste
ancora da “lavorare”, e’ pur sempre l’uomo ad essere attivo; anche se non sa
che cosa fa lavorando, e cioe’ che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest’ultimo residuo: il che e’ gia’
accaduto. Poiche’ l’agire si e’ trasferito (naturalmente in seguito
all’agire degli uomini) dalle mani dell’uomo in tutt’altra sfera: in quella
dei prodotti. Essi sono, per cosi’ dire, “azioni incarnate”. La bomba
atomica (per il semplice fatto di esistere) e’ un ricatto costante: e
nessuno potra’ negare che il ricatto e’ un’azione. Qui la menzogna ha
trovato la sua forma piu’ menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani
pulite, non c’entriamo. Assurdita’ della situazione: nell’atto stesso in cui
siamo capaci dell’azione piu’ enorme - la distruzione del mondo - l’”agire”,
in apparenza, e’ completamente scomparso. Poiche’ la semplice esistenza dei
nostri prodotti e’ gia’ un “agire”, la domanda consueta: che cosa dobbiamo
“fare” dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come
“deterrent”), e’ una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette
che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l’espressione
“reificazione” non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi’ dire,
“agire incarnato”, poiche’ essa indica esclusivamente il fatto che l’uomo e’
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell’altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe’ del
fatto che cio’ che e’ sottratto all’uomo dalla reificazione, si aggiunge ai
prodotti: i quali, facendo qualcosa gia’ per il semplice fatto di esistere,
diventano pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi’, per esempio, il principio delle “armi atomiche” e’ affatto
nichilistico, poiche’ per esse “tutto e’ uguale”. In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all’”annichilismo” piu’ totale.
Poiche’ il nostro agire si e’ trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame
di coscienza non puo’ consistere oggi soltanto nell’ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe’ nel compiere solo quei lavori dei cui effetti
potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e
nell’avere solo quei prodotti la cui presenza “incarna” un agire che
potremmo assumerci come agire personale.
*
Macabra liquidazione dell’ostilita’. Se il luogo dell’azione e quello che la
subisce sono, come si e’ detto, dissociati, e non si soffre piu’ nel luogo
dell’azione, l’agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire
subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi’ un’assenza d’ostilita’,
peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara’ la piu’ priva d’odio che si sia mai vista.
Chi colpisce non odiera’ il nemico, poiche’ non potra’ vederlo; e la vittima
non odiera’ chi lo colpisce, poiche’ questi non sara’ reperibile. Nulla di
piu’ macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l’amore
positivo). Cio’ che piu’ sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima,
e’ quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del
colpo.
Certo l’odio sara’ ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara’
quindi prodotto come articolo a se’. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s’inventeranno) oggetti d’odio ben visibili e identificabili, “ebrei”
di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche’ per poter odiare
veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest’odio non
potra’ entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e
proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera’ anche in cio’, che
odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest’ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche’ non risultino vere. Poiche’ esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita’, e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu’ terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita’ della
catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore
degli uomini, la massima cinica: “Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!”.

Guenther Anders

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Falluja: Dietro le quinte della notizia

20 novembre 2005 Pubblicato da roberto

Da Nadia Redoglia, segnaliamo il link all’intervista a Sigfrido Ranucci, autore del servizio-inchiesta “Fallujah-la strage nascosta” che tante onde ha smosso nello stagno dell’informazione spesso “addomesticata” su quel che successe per davvero, nell’attacco USA alla città di Falluja, un anno fa.
Il ringraziamento per il lavoro svolto alla fine è stato reciproco; e lo stesso Ranucci esclama a sua volta, “…Ringrazio voi per aver contribuito alla diffusione dei 3 milioni di pagine trasmesse in web e a voi auguro buon proseguimento di lavoro…”

“La verità unisce, la menzogna divide”. Leggi l’intero articolo dal sito di Peacelink!

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Incendiary weapons: The big white lie

18 novembre 2005 Pubblicato da roberto

A pair of interesting articles from foreign press and others…

US finally admits using white phosphorus in Fallujah - and beyond.
Iraqis investigate if civilians were targeted with deadly chemical .

- Andrew Buncombe in Washington, Kim Sengupta in Baghdad and Colin Brown - Published: 17 November 2005
- Some questions and answers about white phosphorus and other weapons.
- A kindly list of Bush’s arsenal with various questions and answers about it’s use in the recent war sceneries.

The Iraqi government is to investigate the United States military’s use of white phosphorus shells during the battle of Fallujah - an inquiry that could reveal whether American forces breached a fundamental international weapons treaty.

Iraq’s acting Human Rights minister, Narmin Othman, said last night that a team would be dispatched to Fallujah to try to ascertain conclusively whether civilians had been killed or injured by the incendiary weapon.
The use of white phosphorus (WP) and other incendiary weapons such as napalm against civilians is prohibited.

The announcement came as John Reid, the Secretary of State for Defence, faced mounting calls for an inquiry into the use of WP by British forces as well as what Britain knew about its deployment by American troops. Mr Reid said that he would look into the matter.

The move by the Iraqi government and the growing concern at Westminster follows the Pentagon’s confirmation to The Independent earlier this week that WP had been used during the battle of Fallujah last November and the presentation of persuasive evidence that civilians had been among the victims.

The fresh controversy over Fallujah, which has raged for a full 12 months, was initially sparked last week by a documentary by the Italian state broadcaster, RAI, which claimed there were numerous civilian casualties. A Pentagon spokesman said yesterday he would “not be surprised” if WP had been used by US forces elsewhere in Iraq.

Lt-Col Barry Venable said the incendiary shells were a regular part of the troops’ munitions. “I would not rule out the possibility that it has been used in other locations.” The Pentagon’s admission of WP’s use - it can burn a person down to the bone - has proved to be a huge embarrassment to some elements of the US government.

In a letter to this newspaper, the American ambassador to London, Robert Tuttle, claimed that US forces “do not use napalm or WP as weapons” .

Confronted with the Pentagon’s admission, an embassy spokesperson said Mr Tuttle would not be commenting further and “all questions on WP” should be referred to the Pentagon. The US embassy in Rome had issued a similar denial.

The size or scale of the inquiry to be undertaken by the Iraqi government is unclear, and it is not known when its investigators will arrive in Fallujah. An official with the human rights ministry said that while it was also not known how long the inquiry would take, “the people of Fallujah will be fully consulted”. The Pentagon says the use of incendiary weapons against military targets is not prohibited.

But the article two, protocol III of the 1980 UN Convention on Certain Weapons bans their use against civilians.

Perhaps of crucial importance to the Iraqi investigators, the treaty also restricts their use against military targets “inside a concentration of civilians except when such military objective is clearly separated from the concentration of civilians”.

Mr Reid confirmed yesterday that British troops had used WP in Iraq, though he said the shells had only been used to make smoke to obscure troops movements, which experts say is their primary function.

“Neither it nor any other munitions are used against civilians. It is not a chemical weapon,” he said. Speaking at a Nato training exercise in Germany, where he was visiting British troops bound for Afghanistan, Mr Reid said the US’s use of WP was a “matter for the US”.

However, last week Mr Reid indicated that he would raise the issues contained within the RAI documentary if presented with evidence.

But last night MPs were openly dismissive of Mr Reid’s comments and called for an inquiry, saying they had previously been misled about the US’s use of napalm in Iraq. The US had drawn a distinction between
conventional napalm and updated Mk 77 firebombs, which experts say are virtually identical.

Mike Gapes, the Labour chairman of the Foreign Affairs Select Committee, said: “I think there is an issue here about whether the chemical weapons convention should be strengthened to include this particular substance because it is defined as an incendiary not a chemical weapon, therefore it is excluded from certain definitions.”

Sir Menzies Campbell, the Liberal Democrat foreign affairs spokesman, said: ” The use of this weapon may technically have been legal, but its effects are such that it will hand a propaganda victory to the insurgency. The denial of use followed by the admission will simply convince the doubters that there was something to hide.” So far, the fall-out in the US over the revelation has been minimal. But the former president Bill Clinton yesterday told students at the American University of Dubai that he did not agree with invasion of Iraq.

The battle of Fallujah, an insurgent stronghold, took place over two weeks last November. It led to the displacement of 300,000 people.
Reports from refugee camps and from an Iraqi doctor who stayed in the city during the fighting suggest numerous civilians suffered burns and “melting skin” . Photographs show rows of bodies charred almost beyond recognition.

Chemical legitimately used or a WMD?

What is white phosphorus?

White phosphorus is a highly flammable incendiary material which ignites when exposed to oxygen, and will burn human skin until all the oxygen is used up. A doctor from Fallujah described victims in the US siege “who had their skin melted”.

White phosphorus, known as WP or Willy Pete in the military, flares in spectacular bursts with a yellow flame when fired from artillery shells and produces dense white smoke. It is used as a smokescreen for troop movements and to illuminate a battlefield.

Is it a chemical weapon?

No. White phosphorus has thermal properties which burn by heating everything around it, rather than chemical properties which attack the body’s life systems . It therefore does not fall under the 1993 Chemical Weapons Convention. But protocol III of the 1980 Convention on Conventional Weapons bans its use as an incendiary weapon against civilian populations.

So what is all the fuss about?

The US ambassador to London, Robert Tuttle, said in a letter to The Independent that “US forces do not use napalm or phosphorus as a weapon. ” The US position was that white phosphorus used as a smokescreen was legitimate - a position outlined by John Reid, the Defence Secretary, yesterday.

But a Pentagon statement on Tuesday appears to have shifted the argument. It said that US troops had used the white phosphorus as a weapon against insurgents. The State Department meanwhile corrected a statement, according to which white phosphorus was “fired into the air to illuminate enemy positions at night, not at enemy fighters”. Now the argument focuses on whether those being targeted were insurgents or civilians, and, of course, in a place like Fallujah, this grey area gives the US more of a get-out clause.

Humanitarian law distinguishes between combatants and non-combatants. If the white phosphorus was used against insurgents they qualify as combatants and there has been no protocol breach.

Both the US and the UK have signed the convention, but Washington declared at the time of the signing of protocol III in 1995 that its military doctrine would abide by the protocol’s provisions. These stipulate that the military distinguishes between military and civilian targets.

If it turns out that civilians were killed, what legal recourse is there?

If an Iraqi investigation provides evidence that civilians were killed by white phosphorus as a weapon, there is no recourse under the Conventional Weapons Convention.

However, the 1977 first protocol to the Geneva Conventions could be invoked. The United States has signed but not ratified the protocol which relates to the 4th Convention which considers the treatment of civilians.

Article 35 of the protocol makes it clear that the use and methods of use of “weapons of warfare are not unlimited.” Any weapon or use of weapon that causes “superfluous or unnecessary suffering” is outlawed. The indiscriminate use of phosphorus on a civilian population would be covered.

Breaches of the Geneva Conventions are brought by individual countries and are usually heard by the United Nations at Security Council level, or in the International Court of Justice.

Peter Carter QC, an expert in international law and chairman of the Bar’s human rights committee, said the latest US admissions raised serious concerns about whether white phosphorus was indiscriminately used against civilians. He called for an independent inquiry, possibly through the United Nations, into the use of white phosphorus in Iraq.

Why has all this come out so long after the Fallujah siege?

An Italian television documentary last week, accused the US of using white phosphorus in a “massive and indiscriminate way” against civilians at Fallujah.

This was denied by the Pentagon, but witnesses in the US military’s Field Artillery magazine described firing ‘”shake and bake” missions at insurgents and high explosive shells to “take them out”. The Independent’s coverage of the RAI documentary and fallout prompted a letter from Ambassador Tuttle.

What does the US ambassador say now?

No comment. He referred all questions to the Pentagon.

Anne Penketh and Robert Verkaik

BUSH’S ARSENAL

The allegation

Napalm/Mark 77s

Widespread reports during the initial US-led invasion in March 2003 suggested marines had dropped incendiary bombs over the Tigris river and the Saddam canal on the way to Baghdad.

Cluster bombs

33 civilians, including many children, were reportedly killed in a US cluster bomb attack on Hilla, south of Baghdad. Reports of attacks on Basra were also widespread.

White Phosphorus

Coalition troops were reported to have used WP indiscriminately against civilians and insurgents during the Fallujah offensive of November 2004.

What the US said

Napalm/Mark 77s

The Pentagon denied reports it had used napalm, saying it had last used the weapon in 1993 and destroyed its last batch in 2001. “We don’t even have that in our arsenal.”

Cluster bombs

General Richard Myers, head of the Joint Chiefs of Staff, said coalition forces dropped nearly 1,500 cluster bombs during the war and only 26 fell within 1,500ft of civilian areas.

White Phosphorus

“[WP was used] very sparingly in Fallujah, for illumination. They were fired into the air to illuminate enemy positions at night, not at enemy fighters.” US State Department

How the UK backed them up

Napalm/Mark 77s

“The US have confirmed to us they have not used Mk 77 firebombs, essentially napalm canisters, in Iraq at any time.” Adam Ingram, Armed Forces minister, January 2004

Cluster bombs

The MoD said it supported the use of cluster bombs against legitimate military targets to protect British troops and civilians, insisting care was taken to avoid populated areas.

White Phosphorus

“Use of phosphorus by the US is a matter for the US,” Tony Blair’s spokesman said yesterday.

How the US came clean

Napalm/Mark 77s

It took five months for the US to admit its marines had used Mk 77 firebombs (a close relative of napalm) in the invasion. The Pentagon said their functions were “remarkably similar”.

Cluster bombs

General Myers admitted: “In some cases, we hit those targets knowing there would be a chance of collateral damage.” It was “unfortunate” that “we had to make these choices”.

White Phosphorus

Pentagon spokesman Lt-Col Barry Venable said this week that WP had been used, “to fire at the enemy” in Iraq. “It burns… it’s an incendiary weapon. That is what it does.”

How the UK came clean

Napalm/Mark 77s

“First of all they didn’t use napalm. They used a firebomb. It doesn’t stick to your skin like napalm, it doesn’t have the horrible effects of that. ” John Reid, Defence Secretary

Cluster bombs

Adam Ingram, Armed Forces minister, said: “There were troops [and] equipment in and around built-up areas, therefore bombs were used to take out the threat to our troops.”

White Phosphorus

The Government maintains it used WP in Iraq only to lay smoke screens. ”
We do not use white phosphorus against civilians,” the Defence Secretary John Reid said.

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Servizio di RaiNews24 su Falluja: Amnesty International scrive al ministro Martino

18 novembre 2005 Pubblicato da roberto

La Sezione Italiana di Amnesty International ha inviato oggi una lettera al ministro della Difesa, on. Antonio Martino, chiedendo se il governo italiano “abbia acquisito e analizzato le denunce contenute nell’inchiesta di RaiNews24″ sull’uso di fosforo bianco nel corso dell’offensiva militare di Falluja del novembre 2004, “e quali iniziative intenda intraprendere a tal fine nei confronti delle autorità statunitensi”.
Nella lettera, l’organizzazione per i diritti umani ricorda che tutti i paesi coinvolti in un conflitto armato internazionale devono adottare ogni necessaria precauzione per evitare danni ai civili, secondo i principi vincolanti del diritto internazionale umanitario. Questi ultimi comprendono il divieto di attacchi diretti contro i civili od obiettivi civili; attacchi che non distinguono tra obiettivi militari e i civili od obiettivi civili; e attacchi che, sebbene diretti contro obiettivi militari, abbiano un impatto sproporzionato nei confronti dei civili o di obiettivi civili.

L’articolo 51 (4) del I Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949 – prosegue la lettera di Amnesty International - proibisce attacchi indiscriminati, inclusi “quelli che impiegano un metodo o mezzo di combattimento che non può essere diretto a uno specifico obiettivo militare” e “quelli che impiegano un metodo o mezzo di combattimento i cui effetti non possono essere limitati come richiesto dal Protocollo”. Gli attacchi indiscriminati “hanno la caratteristica di colpire obiettivi militari e i civili od obiettivi civili senza distinzione”.

Amnesty International segnala, infine, che già il 16 novembre 2004 aveva diffuso una dichiarazione nella quale esprimeva “forti timori che a Falluja stiano avendo luogo gravi violazioni delle leggi di guerra a protezione dei civili e di persone armate fuori combattimento”.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 14 novembre 2005

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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