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Archivio del 2006

I quattrocentonovantanove zainetti di Halabja

20 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Questo è l’ultimo della serie di reportages scritti a Andrea Misuri, nostro socio e “compagno di viaggio” nella missione di pace nel Kurdistan iracheno.
E’ un sunto dei ricordi e degli incontri che a distanza di mesi si affaccia ancora nella mente di noi “reduci”; il tutto nel suo stile vivace e discorsivo.

L’arrivo
L’aeroporto di Erbil appare attraverso l’oblò. Le ombre della notte lasciano il posto ai barlumi del nuovo giorno. Sotto di noi, la lunga striscia di cemento. Intervallata dalle luci, che nelle nebbie sottilissime del primo mattino indicano il percorso al pilota. Identica alle piste degli aeroporti di tutto il mondo.
L’orologio segna ancora l’ora di Roma, le 3,30. Eravamo partiti da Francoforte. Aeroporto immenso e labirintico, deserto per l’ora notturna. Lo avevamo percorso a passo sempre più svelto, trascinandoci il bagaglio sulle valigie a rotelle. Eravamo entrati direttamente nella pancia dell’aereo della Kurdistan Airlines.
Quattro ore dopo, le ruote dell’aereo toccano terra. La maggior parte dei passeggeri sono curdi che tornano a casa. Molte le coppie con i piccoli. Le donne indossano vestiti eleganti, dai colori accesi. Gli uomini vestono all’occidentale. Solo qualcuno ha già l’abito della tradizione. Ampi pantaloni e casacche strette in vita da una lunga fascia di cotone, indossati con eleganza e naturalezza insieme.
Mi affaccio alla scaletta e sento prendermi da un’euforia controllata. Mi ricordo di quando, molto tempo fa, a vent’anni o poco più, ho girato tanti Paesi. Ben sapendo, da allora, che il vero viaggio è sempre quello dentro di noi. Alla ricerca delle nostre parti insondabili, a noi stessi sconosciute.
Certo che avrei nuovamente vissuto sensazioni forti.
Scendo gli scalini e m’avvio con i compagni di viaggio verso la palazzina ad un piano che vediamo davanti a noi. Sormontata dalla scritta Erbil International Airport.
Si forma una lunga coda. Problemi sui visti. I doganieri svolgono il loro lavoro con grande attenzione. Oltre al bagaglio personale, ingombriamo la piccola sala dell’aeroporto con le sedici grandi scatole contenenti gli zainetti par i bambini della scuola Marzabotto di Halabja. Alfine si esce. Il sole già sull’orizzonte. Intorno la pianura brulla, interrotta, qua e là, da costruzioni basse, puntini lontani disposti casualmente a riempire lo spazio.

Buona lettura!

Il primo automezzo che vediamo ha, incredibilmente, la targa di Firenze. Un vecchio Ford Transit bianco.
Piero, simpatico e dai modi diretti, è il conducente. Dopo la presentazione cominciamo a parlare. Come vecchi amici che si ritrovano nel loro peregrinare. Con lui, Omar, un curdo che ha studiato a Bologna, dal perfetto accento italiano, si rivelerà utile guida per conoscere il Kurdistan.
Piero è di Porretta Terme. Paese, un tempo, di dura terra lavorata e d’emigrazione. Era partito da lì quattro giorni prima. Sarebbero rimasti con noi alcuni giorni, prima di scendere a sud, cercando di raggiungere Baghdad.
Incontriamo i referenti istituzionali. Tra loro, il sindaco di Halabja Khadir Kareem Mohammed.
Presto sarà a Firenze, invitato dal sindaco Leonardo Domenici vice presidente della Mayor for Peace. Khadir, il primo sindaco iracheno ad iscriversi alla Mayor for Peace. Sindaci che hanno a cuore il futuro delle comunità che rappresentano.
Prendiamo posto sul pulmino, un vecchio Mercedes, che ci accompagnerà, sbuffante e ansimante, per le strade del Kurdistan.

I primi incontri
Il primo appuntamento istituzionale è alla sede del Parlamento.
Un lungo muro di cinta. All’entrata, blocchi di cemento obbligano l’autista a zigzagare prima di fermarsi alla garitta. Giovani in armi, i kalashnikov a tracolla, autorizzano il passaggio. Entriamo nel Palazzo. Al centro dell’ampio salone l’enorme ritratto di Mustafà Barzani, fra le bandiere del Kurdistan. Al centro il sole che irradia i suoi raggi, a sovrapporsi ai colori bianco rosso e verde disposti orizzontalmente. Ai lati due guardie in alta uniforme.
Dietro, due scaloni semicircolari si congiungono in alto.
Da lì si entra nello studio di Adnan Al-Mufti Presidente del Parlamento. Poco più che cinquantenne, uomo che suscita rispetto e ispira simpatia.
Saprò poi che ha passato la maggior parte della vita nella lotta partigiana. E’ a persone come quella che ho di fronte, che ha pensato Sherko Bekas, il maggior poeta vivente curdo, quando scrive

”La lotta, da noi, Laura, inizia dalla culla
e va fino alla tomba. E’ avvinghiata al nostro corpo, Laura.
Pane e dolore mangiamo tutti i giorni, insieme alla nostra lotta, Laura.
Dormiamo più tempo con la lotta,
che con le nostre donne, Laura,
viviamo più tempo con la lotta che con i nostri figli, Laura.
Ma, Laura, Laura, il mio Kurdistan,
il mio Kurdistan
tu non dimenticare il Kurdistan.”

L’autore ha trascorso molti anni in esilio. Ora vive a Sulaymanya.

Durante l’incontro con Al-Mufti, parlo delle motivazioni che ci hanno spinto a venire fin qui. Di Firenze città portatrice di pace, da sempre aperta ai viaggiatori di ogni Paese. E’ con emozione che appunto sulla giacca del Presidente il giglio d’argento. Nessuno di noi poteva sapere, in quel momento, che due mesi dopo lui stesso sarebbe stato ricevuto dal Sindaco in Palazzo Vecchio, nella sala di Lorenzo. Così chiamata perché lì, Lorenzo il Magnifico riceveva gli ambasciatori che a Firenze venivano dalle terre più lontane.
Quando lasciamo la sede del Parlamento, prendiamo la strada che scende a sud. Dobbiamo raggiungere Sulaymanya. Il nostro minibus è preceduto dal camioncino con i 500 zainetti. Davanti fa da apripista la Toyota con il sindaco di Halabja.
Usciti dalla città, le case diradano. Ogni tanto attraversiamo qualche villaggio. Case fatte di sassi e fango. Lamiere per tetti. E poi le antenne satellitari che sempre ritroveremo anche nei luoghi più sperduti, a volte unico segno di riconoscimento del secolo nel quale viviamo. Poi anche i villaggi scompaiono. Attraversiamo una valle, al centro un torrente che i mezzi guadano. All’intorno un pugno di case, una minuscola moschea con i muri verde pastello. I bambini a giocare sulla strada polverosa, alzano gli occhi stupiti e curiosi al nostro passaggio. Per lungo tempo non ci sono più segni di vita. Le auto s’inerpicano su strade tortuose. Incontriamo un pastore con il suo gregge di pecore. E’ un ragazzo giovanissimo, poco più di un bambino. Delle baracche sono abbarbicate su un tornante. Il sindaco vuole offrirci della frutta. Compra banane e arance per noi. Semi di zucca per l’autista, dei quali gran mangiatore, li sgranocchierà per il resto del viaggio. Arrivati in cima al passo, il corteo affronta le curve della pista che velocemente degradano verso la pianura sottostante. La strada che percorriamo resta l’unico segno della presenza dell’uomo. Montagne brulle intorno. Sotto, la valle fatta di distese di prati spelacchiati.
C’inerpichiamo nuovamente, ora in modo più deciso. Arriviamo a Balessan, uno dei primi villaggi travolti dalla campagna dell’Anfal.
L’intera popolazione ci accoglie sui due lati della strada che raggiunge il punto più alto del paese aprendosi in un piccolo spazio. Qui avviene la breve cerimonia di saluto e la visita del luogo che raccoglie la memoria dell’eccidio. Togliendoci le scarpe, seguiamo i rappresentanti locali nel mausoleo. Una stanza dove, appese alle pareti, si susseguono le fotografie dei morti. Tanti i bambini.
Quando usciamo, siamo circondati da ragazzini, usciti a frotte dalle case. Per loro, l’occasione per trascorrere un attimo diverso dalla routine. Sono belli e dolcissimi, con dei grandi sorrisi che illuminano volti dai lineamenti incredibilmente delicati.
Fulgida tira fuori la valigia che per tutto il viaggio si era tenuta vicino. Escono così piccoli oggetti utili a comunicare. Sono palloncini colorati che Fulgida, Lara e Luciano gonfiano. Sempre più rapidamente, ma non è sufficiente. Nugoli di bambini arrivano, attratti dall’evento inatteso. Dalla valigia, come quella di Mary Poppins, per magia continuano ad uscire i palloncini.

Arriviamo a Sulaymanya che comincia l’imbrunire.
L’hotel Babylon è un palazzo su due piani. Nella hall, davanti al bancone della reception, un abete finto, illuminato delle luci natalizie. La sua funzione è puramente decorativa e dura tutto l’anno.
All’ultimo piano c’è la sala ristorante.
Quando vi arriviamo, depositate le valigie nelle camere, accogliamo con gioia, data l’ora tarda, gli hamburger e le patate fritte che i gentilissimi camerieri ci propongono.
Fra noi italiani, chi conosce meglio la cucina mediorientale è indubbiamente Filippo.
Nell’aspetto, Filippo è il viaggiatore doc. Capelli arruffati, lunghi sulle larghe spalle. La barba, scomposta e folta a incorniciare il sorriso scanzonato. Al collo, immancabili, macchina fotografica e cinepresa.
Ci dà qualche breve consiglio che si rivelerà utile per meglio capire i piatti tradizionali.

Note
Sulaymanya ha più di duecento anni. Sul finire del XVIII secolo diventò la capitale del Principato di Baban. Prendendo il posto della città di Kalacholan.
Jalal Talabani, attualmente Presidente della Repubblica dell’Iraq, è di questa regione. Una vita passata combattendo. Partigiano indomito, nel 1975 fonda il Puk, il partito unitario curdo. Talabani e Massud Barzani, figlio del leggendario Mustafà Barzani e leader del Pdk, il partito democratico, sono i due carismatici politici che guidano il sogno di autonomia del popolo curdo.
A Sulaymanya nel marzo 1991 la popolazione scese in piazza. Migliaia di persone si riversarono nelle strade, prendendo d’assalto le caserme e gli edifici pubblici. Per ultimo fu cinto d’assedio il carcere di massima sicurezza dove venivano torturati e uccisi donne e uomini che credevano in un Paese libero. L’assedio durò più di ventiquattro ore. Poi anche il carcere fu invaso dagl’insorti. Moderna “Bastiglia”, oggi è lì, aperto al pubblico, per non dimenticare.
Subito a nord della città c’è un monte, il Pira Magrun. Come riporta la rivista “Archeologia Viva”, tre anni fa una spedizione del Laboratorio di Assiriologia dell’Università di Pisa arrivò fin qui per trovare conferme alla possibilità che questa sia la montagna del Diluvio Universale, e non l’Ararat come indicato nella Bibbia. L’ipotesi parte dalla rilettura degli scritti assiri, prende in esame i racconti mesopotamici dai quali discendono i testi biblici, per trovare, con la spedizione, conferma nella morfologia del terreno. Un’onda anomala, forse causata da un meteorite. Uno “tsunami” di migliaia di anni fa. Che risalendo controcorrente il Tigri e poi il suo affluente di sinistra, la Diyala, è andato a frangersi contro il Pira Magrun che s’innalza al centro di una valle. Si parla del Diluvio Universale, e non dell’Arca di Noè. Secondo i ricercatori, l’Arca, così come è stata tramandata, non è mai esistita. E’ un mito. E l’Iraq è la terra dove sono nati gran parte dei miti, che poi ritroviamo in tante civiltà.

Halabja
Dalla terrazza sul tetto del Babylon l’alba di Sulaymanya è striata di leggere nebbie che s’alzano lentamente nel cielo grigio. Si prospetta una giornata decisamente calda.
La città è tutta un cantiere. Si viaggia tra dossi e avvallamenti dovuti ai detriti che camion e bulldozer spostano da un punto all’ altro. Il pulmino va avanti scartando qua e là per evitare i lavori in corso.
Di buon’ora prendiamo la strada per Halabja. Correndo verso la periferia est della città, dal finestrino vediamo chilometriche code di “tacsì”, bianchi con la striscia orizzontale arancione. Sono tutti in coda in attesa della benzina razionata spettante a ciascuna autovettura, a prezzo calmierato. Nadhim mi dice che i tassisti dovranno pazientare lunghe ore. Fuori dalle auto ferme, chiacchierano e scherzano tra loro. Sanno che oggi è giorno dedicato al rifornimento di carburante. Ovviamente la benzina viene venduta anche dai privati. Si riconoscono, ai bordi ormai assolati della strada. Si vedono decine di taniche allineate l’una all’altra, in attesa di clienti. Il venditore afferra una tanica ed un grande imbuto, provvedendo a riempire il nostro serbatoio.
Halabja dista settanta chilometri da Sulaymanya. Eppure sono necessarie un paio d’ore per raggiungerla. Innumerevoli i posti di blocco. I peshmerga, una sedia di plastica e un ombrellone per ripararsi dal sole che sta salendo nel cielo azzurro, controllano le auto in transito.

Halabja è stata fino ai primi anni del secolo scorso un Principato autonomo. Dopo la Prima Guerra, con la fine dell’Impero Ottomano e la nuova ripartizione di tutti gli Stati che all’Impero facevano riferimento, andò a far parte anch’essa del Paese che le potenze vincitrici decisero di creare, l’Iraq. Non tenendo conto di un passato millenario. Ma della dislocazione dei giacimenti petroliferi.

Il 16 marzo 1988 era un mercoledì. Nel pomeriggio arrivarono gli aerei. Sganciarono le bombe con i gas chimici. Nell’aria si sparse un odore dolciastro. Che ricordava quello delle mele. Oltre 5000 morti. Uomini, donne, bambini fermati nei gesti della vita quotidiana. Le foto ce li mostrano che sembrano dormire. Come in quei documentari che ricostruiscono la fine di altre comunità, come a Hiroshima e Nagasaki.
A Halabja si nasce ancora con gravi malformazioni.

Arriviamo davanti alla scuola Marzabotto. La città italiana fin dal 1988 ha stretto un Patto d’amicizia con Halabja. Fu costruita questa scuola. E’ sicuramente uno degli edifici più belli del luogo. Qui studiano circa cinquecento bambini. Sulle scale che immettono nella struttura scolastica siamo accolti dalle canzoni di benvenuto dei piccoli studenti accompagnati dalle maestre. I bambini indossano i vestiti della festa. Sono tutti ben acconciati. I maschi presentano la divisa dei capelli demarcata. Le femmine portano, tra i capelli, trecce colorate che le mamme hanno sistemato con cura. Consegnano fiori di plastica, in questa terra che i suoi fiori li ha persi da tempo, a causa degli effetti letali delle armi chimiche sul terreno.
All’entrata un tavolo rotondo è ricoperto di candeline colorate che siamo invitati a spengere. Per terra un bambino, indosso l’abito tradizionale curdo, in testa la kefia a scacchi bianchi e neri.
E’ raccolto in posizione fetale. Un bambolotto racchiuso tra le mani. E’ la rappresentazione del giovane padre di Halabja che fu trovato morto, stringendo al petto la piccola figlia. L’immagine stessa, ormai, della tragedia di questa città e dell’intero Kurdistan iracheno.
Edoardo Masetti, il sindaco di Marzabotto, non ferma le lacrime, mentre ricorda come le due città si trovano unite dalla comune tragedia dell’eccidio dei propri abitanti. Un sentimento che irrompe nella storia. Essere rappresentanti della comunità. Comunità di bambini, di donne e uomini. Nessuno escluso.
Poi, classe per classe, la consegna a ciascun bambino degli zainetti, mentre compunti e incuriositi guardano Edoardo che rivolge loro parole di fiducia in un prossimo futuro di conquistata pace e tranquillità. Con i loro pochi anni possono permettersi di sperarlo. La nostra presenza, per loro, è il segno di un cammino aperto. Per noi un auspicio.

E poi…
Nei giorni successivi avremmo continuato a passare lunghe ore sul nostro scassato Mercedes. A intervallare incontri ufficiali e visite le più varie. Non ho visto Raman lamentarsi. Ha quattro anni. E’ figlio di Gulala e Nadhim. E’ la seconda volta che viene a trovare i nonni. Va detto che Raman non ha voluto essere a meno dei “supereroi”, protagonisti dei cartoni animati che più ama. Si è mai visto un “supereroe” che cede alla stanchezza?
In quei giorni Raman ha giocato spesso con Ara, la figlia dodicenne di Khadir Kareem e con i fratelli di lei. A vederli giocare tutti insieme, ho pensato che questa, forse, sarà la prima generazione che potrà vivere in un Kurdistan libero. Un Paese al quale è riconosciuta identità e storia.
Sul minibus siedo spesso accanto a Renzo. E’ di Cormons, dalle parti di Gorizia. Terra di eccellenti vini bianchi.
I friulani sono persone dai lunghi silenzi e dal cuore in mano. Non so se nel carattere di Renzo c’è il primo di questi tratti. Il secondo certamente. Insieme sul pulmino. E poi la sera a dividere la camera. Io con le mie battute da maramaldo toscano, lui con i suoi salaci sfottò venati d’ideologia.

Nel rimettere i bagagli per tornare a casa, si trova uno zainetto. Uno dei 500. Rimasto chissà come confuso tra altre cose. Fulgida me lo regala. Un ricordo di quei giorni. Lo uso, ora, come “valigetta” per i documenti e gli appunti.

Ci salutiamo. L’impegno è di ritrovarsi da Filippo. Al suo eremo. Un ex casello ferroviario nelle campagne intorno a Venezia. All’interno un grande camino, una libreria che strabocca di libri e cd. E poi il pianoforte, vero compagno dei momenti di solitudine. La rete ferroviaria corre a non più di un metro dalla recinzione del piccolo giardino. All’ombra di un albero, seduti intorno a un lungo tavolo, allietati dalla grigliata di carne e da un buon rosso locale, avremmo estratto dalla memoria i momenti trascorsi insieme. Gettato le basi di nuovi comuni progetti.
Ora quei progetti cominciano a prendere forma. Potrebbero diventare aiuti concreti per un popolo, quello iracheno, affamato di normalità.
Forse torneremo in Kurdistan. E riprenderemo il viaggio alla ricerca di noi stessi.
Lo zainetto verde è con me. Ricordo di un viaggio che ha lasciato la voglia di rivedere amici e luoghi conosciuti in un Paese lontano e bellissimo.

Andrea Misuri

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A Ovada, “Testimone di pace”. In memoria di…

18 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Riceviamo dal Comune di Ovada, a firma Raffaella Romagnolo, il racconto di una giornata intensa e vissuta con attenzione ed emozione. Parlo della prima edizione del premio “Testimone di pace” che la città piemontese, assieme all’associazione “Rachel Corrie” e con il sostegno della Provincia di Alessandria, ha voluto istituire a favore di personalità italiane e non italiane distinte per il proprio impegno nell’ambito della pace e della nonviolenza.
Questo primo anno ha visto ricordare ad esempio la memoria di quei “portatori di verità scomode” quali sono i giornalisti, scomparsi “sul campo” e a volte in circostanze ancora poco chiare, Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello ed Enzo Baldoni.

Nota: Vedi anche: L’11 settembre a Ovada (AL) il Premio “Testimone di pace”.

Grande emozione, ieri sera [11 settembre, n.d.r.] , al Teatro Splendor di Ovada, per la consegna del premio “Testimone di Pace” alla memoria di Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello ed Enzo Baldoni. Il riconoscimento, promosso dal Centro Pace Rachel Corrie e dal Comune di Ovada, in collaborazione con la trasmissione radiofonica Farenheit e con l’associazione Articolo 21, andrà ogni anno ad una personalità che si sia particolarmente distinta per l’impegno nell’ambito della pace e della nonviolenza. «Per questa prima edizione abbiamo scelto di puntare l’attenzione sull’informazione, elemento imprescindibile per una società fondata sulla partecipazione democratica dei cittadini alle scelte che li riguardano» ha spiegato Sabrina Caneva, assessore alla pace del Comune di Ovada e vice presidente del Centro Pace Rachel Corrie. E di«un’ informazione attenta e consapevole, al servizio della giustizia e della verità» ha parlato anche il Presidente Napolitano nel messaggio con cui ha concesso alla manifestazione l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.
Un video realizzato e messo a disposizione da Primo Piano (TG3) ha restituito ai presenti le immagini dei giornalisti caduti, ripercorrendo brevemente le tappe della loro vita professionale. Sul palco si sono poi avvicendati Mario Cutuli, fratello di Maria Grazia, Paola Ciriello, moglie di Raffaele, e Alfredo Virgili, intimo amico della famiglia Baldoni. A ciascuno il sindaco di Ovada Andrea Oddone ha consegnato l’opera d’arte appositamente realizzata dall’artista Balthasar Brennesthul. «Non è il primo riconoscimento al lavoro di Raffele che ricevo, e non nascondo che è sempre molto difficile affrontare appuntamenti come questo – ha detto Paola Ciriello – ma sono contenta di essere qui. Mi ha particolarmente colpito lo spirito del premio: “testimone di pace” è anche un bel modo per spiegare a mia figlia, che ha solo sei anni, chi era suo padre». Particolarmente toccante anche il collegamento telefonico con la madre di Antonio Russo, che ha ricordato le ultime telefonate del figlio caduto nell’ottobre 2000 nei pressi di Tiblisi.
E l’emozione ha sicuramente contribuito a rendere particolarmente coinvolgente anche il dibattito che ha concluso la serata. Coordinati da Marino Sinibaldi, sono infatti intervenuti Duilio Gianmaria, Nacera Benali, Luciano Scalettari e Beppe Giulietti. Al centro della discussione la possibilità di fare buona informazione dopo l’11 settembre, in un mondo che è andato irrigidendosi su posizioni di chiusura e di netta contrapposizione. «La banalizzazione è la regola – ha ricordato la Benali – ma non ha alcun fondamento pensare ad un mondo in cui gli “islamici” si contrappongono ai “cristiani” e viceversa. Esistono complessità, differenze, ricchezze sconosciute». Il riferimento va alle espressioni più avanzate della società civile mediorientale, che si esprime in giornali indipendenti ed associazioni che operano per i diritti civili. «Una realtà completamente dimenticata dall’informazione ufficiale – ha concluso la giornalista algerina – ci si ferma a facili stereotipi e si dimenticano i numerosi colleghi che in quei paesi ogni giorno combattono battaglie durissime per conquistare spazi alla libertà di espressione e di dibattito».
Ma cosa è cambiato, nel mondo dell’informazione, dopo le Twin Towers? «E’ sicuramente diventato tutto più difficile. Il richiamo all’ordine è stato fortissimo, e soprattutto negli Stati Uniti. Bisognava “serrare i ranghi” e molte testate, anche autorevolissime, l’hanno fatto, magari pentendosene successivamente – ha sottolineato Gianmaria – ma i colleghi caduti, che questa sera abbiamo ricordato, sono quanto di più lontano da ogni forma di giornalismo “embedded”. Hanno rotto i ranghi, hanno infranto la regola non scritta secondo la quale sembrerebbe esserci differenza tra la notizia di migliaia di morti a New York e quella di migliaia di morti nel Sud del mondo». «Dal punto di vista dell’Africa ogni giorno è l’11 settembre – ha aggiunto Luciano Scalettari, che per Famiglia Cristiana segue da vicino le vicende della parte più povera del pianeta – fare buona informazione significa anche raccontare il filo doppio che lega i milioni di morti del Congo, terra poverissima, ma straordinariamente ricca di risorse, alla lega metallica che rende più efficienti le pile dei nostri telefonini». In chiusura Beppe Giulietti ha sottolineato come il lavoro sul territorio, nelle piccole comunità, nei piccoli centri, possa contribuire a disinnescare il potenziale di violenza in cui viviamo. «Possono bastare piccoli gesti, ma significativi – ha spiegato Giulietti – il 2 giugno ad Ovada ho trascorso una delle giornate più belle della mia vita politica. Ai rappresentanti delle comunità straniere che vivono da queste parti è stata consegnata una copia della Costituzione tradotta nella loro lingua. Un gesto che, da solo, abbatte cumuli di stereotipi e di cattiva informazione».

Raffaella Romagnolo

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Favola per la pace: il 7 ottobre la premiazione

16 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Manca solo qualche settimana alla cerimonia di premiazione delle opere presentate per il III concorso letterario internazionale “Una favola per la pace”.
L’appuntamento, a invito, è nel pomeriggio del 7 ottobre 2006, presso il Teatro Rossini di Lugo di Romagna.

“Non si trattera’ della solita noiosissima cerimonia di premiazione, ma sara’ una cosa tutta nuova e creativa”, così si esprime Fulgida Barattoni. “Una favola nella favola dove fate e folletti si muoveranno in mezzo al pubblico.”

E racconta:
“Le nostre favole le abbiamo tradotte in inglese, kurdo, arabo e anche turco, le abbiamo portate con noi nelle nostre tante missioni di pace e hanno scaldato tanti cuori e come per magia hanno prodotto numerose nuove favole che abbiamo tradotto in italiano e che sono in concorso quest’anno.
I Sindaci della Mayors for Peace ne fanno largo uso e questo ci onora perche’ ci aiutano nel difficile compito di disseminare semi di pace.

In questi giorni stiamo lavorando per fare avere il visto ad una scolaresca dall’Iraq e se ce la facciamo sara’ una gran bella gioia per tutti.
Ci saranno presenti in sala anche i Sindaci Iracheni di Halabja e Kirkuk, aderenti alla “Mayors for Peace” con i quali inizieremo a parlare anche della messa in opera del nostro progetto elaborato a Pianosa.”

Dal prossimo anno, la sede della premiazione del concorso si sposterà a Pineto degli Abruzzi (vedi articolo a riguardo).

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“Ladri di bambini a Baghdad”. Una nuova inchiesta di RAINEWS24

14 settembre 2006 Pubblicato da roberto

A partire da domani 15 settembre, sul canale All-news della RAI, RAINEWS24 (via satellite e in digitale terrestre) e in replica anche su RAITRE, un’altra testimonianza di quelle “nascoste” nella difficile e ingarbugliata storia dell’Iraq.

Iraq. Su Rainews24 l’inchiesta “Ladri di bambini a Baghdad”

“A due ragazzi iracheni, di soli 10 e 11 anni, sono stati prelevati i reni. Sono casi accertati perché i genitori di questi bambini sono venuti nel nostro centro. Vi sono anche dei casi dei bambini che sono stati salvati perché gli stessi rapitori erano in contatto con un medico privato e hanno curato le ferite dei bambini dopo le operazioni di prelievo degli organi. Ad un bambino sono stati prelevati gli occhi e per far andare in porto un’operazione del genere necessariamente vi è coinvolto uno specialista.”
Alhan Tarik - I.I.W.O. Indipendent Iraqi Woman Organization

“Ladri di bambini a Baghdad” di Flaviano Masella, la prima della nuova serie di inchieste curate da Maurizio Torrealta per il canale all news della RAI, porta alla luce un’altra crisi umanitaria invisibile: un commercio di bambini che colpisce soprattutto Baghdad, un città già tanto tormentata da lasciare nell’ombra questa piaga. Sono almeno 5 ogni settimana i bambini che spariscono ma questo numero potrebbe essere molto più alto perché le ONG locali irachene non hanno statistiche sull’intero Paese.

Secondo ricercatori locali i bambini iracheni vengono venduti anche in Europa in particolare in Olanda e in Gran Bretagna attraverso i paesi limitrofi e ci sono organizzazioni internazionali che operano in collaborazione con basisti locali. E’ facile procurarsi dei documenti falsi in Iraq in questo momento per far uscire i bambini dal paese. Molte famiglie che non possono avere bambini guardano con interesse all’Iraq e all’Afghanistan perché è un mercato poco costoso. Anche l’Unicef conferma questo vero e proprio commercio di bambini che sarebbe diretto anche verso l’Europa.

L’inchiesta “Ladri di bambini a Baghdad”, di Flaviano Masella a cura di Maurizio Torrealta, andrà in onda venerdì 15 settembre alle ore 6.12 su Rainews24 e in chiaro su RAITRE.

E in replica: venerdi ore: 13.12, 21.25; sabato ore: 2.12, 7.12, 8.42, 11.12, 17.12, 23.42; domenica ore: 4.12, 8.12, 13.42, 17.42; lunedi ore: 1.12, 5.42, 11.42, 23.12; martedì ore: 2.42, 9.42, 15.42; mercoledi ore: 4.42, 12.12, 20.58; giovedi ore: 1.42, 10.42, 14.12

Inoltre l’inchiesta è visibile anche in lingua inglese e in arabo sul sito www.rainews24.rai.it <http://www.rainews24.rai.it>

Iraq. Rainews24 broadcasts a report called “Thieves of children in Baghdad”

“Two iraqi boys, aged 10 and 11, had their kidneys extirpated and those cases are true because their parents came to our center for help. There are some other stories of children who survived because their kidnappers where in contact with a private doctor who healed the children after the extirpation of the organs. One little boy had his eyes extirpated and to carry out such a surgery, usually there is the need of a specialized doctor…” Alhan Tarik - I.I.W.O. Indipendent Iraqi Woman Organization

“Thieves of children in Baghdad” filed by Flaviano Masella, is the first report of a new series edited by Maurizio Torrealta created for Rai’s all news channel. It brings to light a new humanitarian crisis which has gone unnoticed so far: the trade of children, which involves especially Baghdad, a town with many problems that does not take care of its children. Every week at least 5 children disappear, but the number could be higher since local iraqi NGOs do not have access to statistics about the whole country.

According to local researchers, Iraqi children are sold also in Europe, namely in the Netherlands and in the United Kingdom. They arrive to these countries through neighbouring countries thanks to international organizations which operate with local groups. In Iraq, it is easy to get fake documents to allow children out of the country. Many families, that are childless, look with interest to Iraq and Afganistan, because those are inexpensive markets. Unicef as well, confirms this trade of children directed towards Europe.

“Thieves of children in Baghdad” filed by Flaviano Masella and edited by Maurizio Torrealta, will be broadcasted on September 15 at 6.12 on Rainews24 and uncrypted on RAITRE.

It will be repeated on Friday at 13.12, 21.25; on Saturday at 2.12, 7.12, 8.42, 11.12, 17.12, 23.42; on Sunday at: 4.12, 8.12, 13.42, 17.42; on Monday at: 1.12, 5.42, 11.42, 23.12; on Tuesday at: 2.42, 9.42, 15.42; on Wednesday at: 4.42, 12.12, 20.58; on Thursday at: 1.42, 10.42, 14.12

The report is also available in English and Arabic on our website www.rainews24.rai.it <http://www.rainews24.rai.it>

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Il ponte fra Ponza e l’Elba

10 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Riceviamo da Raffaele Sandolo, giornalista, questo articolo, che - citando anche l’esperienza positiva del convegno di Pianosa dell’agosto scorso - parla delle comuni idealità e aspirazioni delle due isole del mediterraneo, in un momento dove i popoli europei devono crescere nel rapporto con altri popoli, in concordia e con spirito di pace, nella sicurezza e e nel miglioramento socioeconomico.

Il ponte fra Ponza e l’Elba

Marina di Campo 5 settembre 2006.
Un ponte ideale unisce due isole italiane, l’Elba e Ponza, e più precisamente Pianosa e Ventotene. E’ un ponte di idee e idealità ed ispiratore di pace, sicurezza e legalità.
Nel passato mese di Agosto si è svolto su Pianosa un Convegno per la Pace a cui hanno partecipato organizzazioni importanti del panorama europeo. Per due giorni l’impegno di MAJORS FOR PEACE , FONDAZIONE ANTONINO CAPONNETTO, FONDAZIONE SANDRO PERTINI, ISTITUTO MEDITERRANEO DI EMATOLOGIA, INTERNATIONAL PEACE BUREAU, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Firenze e la Regione Lazio, ha permesso di attivare dei processi di rapporto civile che coinvolgono le coscienze dei cittadini di tutto il mondo ed in particolare di quelli delle attuali zone di guerra.
Quasi contemporaneamente a Ponza si è costituita la sezione MFE (Movimento Federalista Europeo) per iniziativa di alcune persone con differente orientamento politico ma con un comune amore per la pace. Membri del Comitato Direttivo sono stati eletti Cesare De Luca, Silverio Capone, Mariano Picicco, Vincenzo Esposito e Gino Usai. L’assemblea della sezione si è svolta in un’atmosfera positiva e costruttiva, sospinta dagli ideali dei padri fondatori dell’Europa Unita, l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Jean Monnet, il franco-tedesco Robert Shuman, il belga Paul-Henri Spaak e il tedesco Konrad Adenauer. Era presente, fra i presenti dell’assemblea, lo spirito dell’italiano Altiero Spinelli che ha nobilitato, col proprio sacrificio e con il profondo amore per la pace, l’idea dell’Europa dei popoli coinvolti in un abbraccio fraterno di pace basato su democrazia, sicurezza, benessere e reciproco rispetto.
Altiero Spinelli, assieme a Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, ha voluto ed elaborato a Ventotene nell’agosto 1941, dopo il confino di Ponza, il documento ispiratore della nuova Europa, “Il Manifesto di Ventotene per una Europa libera e unita”. Nel documento espone, con razionalità e grande passione civile, l’insieme delle idee innovative che illumineranno le coscienze dei cittadini europei, dal dopoguerra fino ai nostri giorni.
Nato a Roma il 31 agosto 1907 e morto a Roma il 23 maggio 1986, Altiero Spinelli è stato un uomo di grande statura morale che ha ispirato la via della pace e della concordia sul continente europeo.
La costituzione della sezione MFE a Ponza, in questi giorni di fine estate 2006 è solo l’ultima delle tante iniziative, di valore etico-politico, prese in Italia e all’estero in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Altiero Spinelli.
Le parole che il papa Benedetto XVI continua a ripetere, i questi mesi, ai popoli della terra “La guerra non è inevitabile”, sono state abbracciate con forza sia da parte di tutti i partecipanti al Convegno fra cui vi erano dei cittadini, italiani e stranieri, di alto livello istituzionale, politico, culturale come pure dai partecipanti all’assemblea svoltasi a Ponza.
A dare maggior valore al pensiero di Altiero Spinelli è stata la commemorazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Ventotene il 21 Maggio 2006. Le parole dette hanno un grande significato “Non c’è avvenire per l’Italia, se non nel rifiuto di ogni stanca sensazione di ripiegamento su illusorie e meschine rivendicazioni dell’interesse nazionale, e su sterili abbandoni allo scetticismo verso il progetto europeo».

Raffaele Sandolo
elbasun@infol.it

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