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“Nonviolenza” o “Non violenza”?

28 agosto 2004 di roberto

Sembra un particolare banale, ma per i tanti amici che scrivono, discutono e traducono di tematiche pacifiste, può essere essenziale comprenderne la differenza per chiarire idee e posizioni.

Perché, se leggete il commento di Carlo Gubitosa qui sotto, scoprirete che…

“Nonviolento” o “Non violento”?
Io direi che sarebbe meglio utilizzare l’aggettivo “nonviolenta” per tutte le iniziative che rientrano nel quadro della nonviolenza gandhiana, quindi anche se una organizzazione promuove una marcia semplicemente “non violenta”, noi la descriveremo come “nonviolenta” perche’ l’italiano ha questo neologismo in piu’ che ci permette di dire due cose al tempo stesso:

1) La marcia avverra’ senza atti di violenza
2) La marcia e’ una azione di lotta per la giustizia

Se invece ci sono iniziative che non rientrano nel quadro della nonviolenza gandhiana, ad esempio se l’area antagonista promuove una azione di disobbedienza civile per violare la zona rossa (ogni riferimento e’ puramente casuale) descriveremo questa azione come “non violenta” perche’:

1) Non prevede il compimento di atti violenti
2) Ma al tempo stesso non esclude di poter praticare l’autodifesa in caso di carica da parte delle forze di polizia.

La scelta al punto 2) che puo’ essere piu’ o meno condivisa dalla prospettiva del buon senso, tuttavia non coincide con la pratica della nonviolenza gandhiana, che prevede di rendere piu’ evidente una ingiustizia rispondendo con la resistenza passiva alla violenza dell’avversario, che in questo modo non puo’ giustificare le sue azioni con una nostra reazione violenta. E’ una sorta di ju-jitsu morale, se tu mi aggredisci con violenza, ti aspetti da me una reazione violenta che equilibri e sbilanci la tua azione, io invece ti sbilancio e ti spiazzo accogliendo la tua violenza e ribaltandola contro di te perche’ avro’ dimostrato il tuo intento di aggredire senza lasciarti spiragli per legittimare o giustificare le tue azioni.

Quindi ritornando al nostro problema non ci sono regole fisse di traduzione, sta al discernimento del singolo traduttore capire se l’oggetto dell’articolo da tradurre e’ una iniziativa semplicemente “non violenta” oppure una azione diretta “nonviolenta”.

Come dicevo, l’italiano, che e’ la lingua di Aldo Capitini, ci ha dato uno strumento in piu’ che in altre lingue non esiste. Questo strumento e’ la parola “nonviolenza”, con tutti i suoi derivati.

Sta a noi utilizzarlo con oculatezza, ovunque e’ possibile per diffondere la cultura della nonviolenza anche attraverso questa parola nuova, ma mai gratuitamente, perche’ si corre il rischio di fare confusione e di dare una patente di nonviolenza anche a iniziative che si caratterizzano solamente per una assenza di violenza fisica ma che vengono pregiudicate da altri atti di violenza (chiusura dei canali di comunicazione con un interlocutore che diventa un nemico, mancanza di rispetto dell’avversario, violenza verbale e altre cose).

Carlo Gubitosa - PeaceLink

Questo articolo è stato pubblicato il sabato, agosto 28th, 2004 alle 20:50 ed è archiviato in Dalla Società Civile. . Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il Feed RSS 2.0 feed. I commenti sono chiusi, ma puoi fare un trackback dal tuo sito.



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