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Tornare in Kurdistan due anni dopo

31 marzo 2008 Pubblicato da roberto

`Maybe. Forse. La parola che più è ricorsa nel viaggio in Kurdistan. Fin da Vienna. Inseguendo l’Air-Station Manager della Mesopotamia Air, l’ultima arrivata nel nuovo segmento di mercato delle compagnie civili irachene. Poi, di volta in volta, i “problemi tecnici” dell’Austrian Airlines fino ad Istambul, le attese mattutine nell’hall dell’Alborz Hotel al Khasraw Khal Bridge a Sulaimaniya, i cambiamenti repentini di programma.`

Ecco l’inizio di un lungo racconto. E’ il reportage di Andrea Misuri, di ritorno dall’ultima «Mission» dei “Mayors for Peace” nella terra che già fu nostra destinazione nel 2006.

E’ la testimonianza di un cammino che, anche attraverso l’impegno di IPB-Italia, è proseguito in questi due anni trascorsi. E che si sta concretizzando attraverso progetti e … amicizia.

E’ da leggere e da gustare, anche per le numerose immagini che lo accompagnano.

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OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Maybe. Forse. La parola che più è ricorsa nel viaggio in Kurdistan. Fin da Vienna. Inseguendo l’Air-Station Manager della Mesopotamia Air, l’ultima arrivata nel nuovo segmento di mercato delle compagnie civili irachene. Poi, di volta in volta, i “problemi tecnici” dell’Austrian Airlines fino ad Istambul, le attese mattutine nell’hall dell’Alborz Hotel al Khasraw Khal Bridge a Sulaimaniya, i cambiamenti repentini di programma.

La Raparin Hall è intitolata alla Rivolta del marzo 1991 che liberò la città dalla lunga oppressione. Situata all’interno dell’Università di Sulaimaniya, di fronte alla Biblioteca Centrale, si confonde tra gli edifici ad un piano dei ventidue college sparsi tra i viali. Gli studenti, libri e dispense sotto il braccio, si soffermano a parlare a piccoli gruppi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Sono le 10,00 del 17 marzo e qui ha inizio il convegno Dal Genocidio alla cultura di Pace. Sono trascorsi vent’anni dalla strage di Halabja. E’ il momento di ragionare delle conseguenze che quei tragici eventi hanno prodotto nella coscienza di un popolo e come si possa ricercare il diritto alla serenità perduta.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Marzo è la stagione dei narcisi, che ragazze nei tradizionali abiti curdi dai vivaci colori monocromatici distribuiscono all’ingresso della sala insieme a caramelle e a piccoli dolci.

Presenti i rappresentanti istituzionali del Kurdistan iracheno: i Presidenti del Governo e del Parlamento Regionale, ministri e deputati, sindaci, così come esponenti dei partiti politici tornati alla luce del sole dopo gli anni di clandestinità. La sig.ra Hero Ibrahim Ahmed Talabani, i sindaci Khder Kareem di Halabja, Nawzad Jalal Muhamad di Chamchamal, Araz Hawez Sadq di Koya, Azad Mamand di Taqtaq, Aras Abid Akram dell’Halabja Chemical Victims Society, il professore Azad Hama Shekhani dall’italiano perfetto per gli studi nelle nostre università.
L’intervento di Othman Rashid Aziz direttore delle municipalità di Sulaimaniya: “When this conference was held in Florence city in Italy, this year Kurdistan suggested to holding this conference in Halabja city of Sulaimaniya. Indeed, this suggestion was accepted to be appointed at the date of 16-March, As World Day as a symbol for standing against using the Chemical Weapon”. A seguito del convegno di Mayors for Peace del novembre scorso a Firenze, da qui parte la proposta del 16 marzo Giornata Mondiale contro l’uso delle armi chimiche.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Fulgida indossa l’abito ricevuto in dono dalla sig.ra Talabani. Il suo saluto in curdo, arabo, inglese e italiano trasmette un messaggio di comunanza.

Ogni volta che un bambino è ucciso, al grido disperato di una madre si unisce quello di tutte le madri della Terra. I bambini, i figli di tutte le madri, sono il nostro comune futuro. La trasversalità dell’amore e del dolore non hanno confini”.

Parole che hanno fermato l’attenzione dei presenti, dirette al loro cuore.

L’intervento di Alberto. Parla di Pace e del progetto di peace education portato avanti nel convegno di Pianosa dall’International Peace Bureau e dai Comuni aderenti a Mayors for Peace.

Le biglie d’acciaio di Pol lasciate cadere nel contenitore sul palco ricordano, con il loro metallico rimbombo, le atomiche presenti nei depositi di tanti Paesi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Le proposte italiane per stimolare la costruzione della pace nella coscienza della società civile passano anche attraverso nuove politiche scolastiche. L’adozione di un testo comune alle scuole di più Paesi, in quanto “non si conoscono le tragedie dei popoli perché non se ne conosce la letteratura”. Lo ha detto Attilio, vice sindaco di Pozzallo, Comune dei Monti Eblei che ha dato i natali, sono stati da poco ricordati i cent’anni, a quel precursore della fratellanza tra i popoli del Mediterraneo che fu Giorgio La Pira.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Le parole di Dante, assessore alla Pace e ai Gemellaggi di Campi Bisenzio e quelle di Eleonora, una donna che in questo Comune è nota per i molteplici impegni nell’associazionismo e nel campo dei diritti umani nel mondo.

Intanto, Jessica informa i giornalisti curdi televisivi e della carta stampata delle attività di I.P.B. ed invia in Italia comunicati stampa sull’andamento del convegno. La sua costante disponibilità e un sorriso smagliante contribuiscono a facilitarci i contatti.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         L’incontro con Rizgar Mohammad Ameen, uno dei tre giudici, lui curdo, gli altri sunnita e sciita, che hanno giudicato Saddam Hussein. Otto sedute al termine delle quali è stato condannato per la strage di centoventi sciiti.

Il portamento eretto, quasi ieratico, Rizgar, completo blu, la cravatta con disegni bianchi su fondo blu, si muove con naturale, felpata eleganza. Alto, magro, bianchi capelli corti, baffi brizzolati, cinquant’anni da poco compiuti. Alle nostre domande su quest’esperienza professionale ed umana risponde che, come per qualsiasi altro processo, il suo impegno è stato tenere distinti nel giudizio la propria emotività e la pressione ambientale dall’analisi oggettiva dei fatti.

E’ tornato a svolgere le funzioni di giudice a Sulaimaniya.

Al poeta Salm è intitolata la principale strada della periferia ovest di Sulaimaniya, intasata di traffico sul finire del mattino.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Dietro un cancello guardato da uomini in armi, una bassa costruzione rettangolare è la sede del Puk, il Partito unitario curdo. Siamo ricevuti dal responsabile dell’ufficio politico, al quale Eleonora dona la sua sciarpa multicolore della Pace. Riceviamo un attestato onorario del Partito, con il simbolo del fiore nazionale, un narciso dai bianchi petali.

Il 18 marzo siamo tornati ad Halabja. All’ingresso della città il monumento dedicato alle vittime e distrutto due anni fa, presente la delegazione italiana, è ancora ingabbiato nei ponteggi.

Nel cimitero s’inseguono allineate le tombe senza morti, che furono invece raccolti in fosse comuni. Una lapide per famiglia, tutte uguali, con 5.000 nomi. I giovani di Halabja hanno presentato una rappresentazione teatrale di forte impatto emotivo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         All’ora del tramonto siamo davanti alla statua che ricorda la strage, una donna con le braccia protese verso il cielo, e ai cui piedi sono state accese candele e disposte scenograficamente delle mele a ricordare l’odore dolciastro, proprio delle mele, dei gas nervini. I ballerini dell’Accademia delle Belle Arti recitano Non dobbiamo dimenticare Halabja. Seduti accanto alle tombe, mentre le ombre della sera arrivano a stendersi tra le lapidi, ogni marmo illuminato da una candela, altri studenti iscritti al corso di pittura disegnano e dipingono il ricordo. Mescolandosi infine, ballerini e pittori, gli uni in una danza al rallentatore, gli altri in piedi, immobili, i disegni tra le mani. L’altoparlante diffonde note di dolore che si perdono nel nulla che sfuma oltre le tombe, nella piatta campagna d’attorno.

Ho trascritto, facendomi aiutare a tradurli dalla brochure, i nomi del regista Warzer Hama Salim e dell’autore delle musiche Farhad Faik eseguite dal Gruppo Musicale dell’Accademia di Halabja. Per notificare a chi legge e ringraziare così quei ragazzi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Ciamciamal si trova sulla strada che collega Sulaimaniya a Kirkuk. Una striscia d’asfalto che corre diritta attraverso la pianura, rari villaggi s’alternano ai posti di blocco dei peshmerga che si riconoscono da lontano per le lunghe colonne d’auto e camion. I suv della sicurezza azionano luci, sirene e altoparlanti e zigzagano tra blocchi di cemento e spunzoni metallici portandoci rapidamente oltre. Lungo la strada gli scavi archeologici restituiscono i resti di un’antica chiesa cristiana.

Kirkuk, enclave rivendicata dalla forte minoranza turcomanna, un sottosuolo con grandi riserve di petrolio, è a poche decine di chilometri. Da lì ne mancano centocinquanta per arrivare a Baghdad.

Ciamciamal è un insediamento sviluppatosi nella seconda metà degli anni ’80 e raccoglie i profughi in fuga dall’Anfal del governo iracheno. Da qui l’inferno di Baghdad appare ancora lontano.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Certamente la vita quotidiana non è facile, ma i segnali che provengono dai giovani incontrati sono pieni di speranza. Il gemellaggio di Halabja con Marzabotto ha stimolato il desiderio di confrontarsi con realtà diverse. La nostra presenza è stata occasione di riflessione e di ricerca del nuovo. Dopo la visita in Municipio, circondati dagli uomini della sicurezza, abbiamo così visitato i luoghi di ricostruzione della democrazia curda, la sede di Kurdistan Tv, la Casa della Cultura dell’infanzia, il Centro culturale giovanile e quello delle donne, quest’ultime davvero le colonne portanti, ancora troppo invisibili, della nuova società. A Ciamciamal un gruppo di studenti stampa un giornale. Charmu, dal nome di una località vicina dove sorge un villaggio neolitico, il più antico insediamento dell’intero Iraq, riportato in superficie dagli Inglesi durante l’occupazione nei primi decenni del secolo scorso. Mostrano orgogliosi la copia di Charmu con l’articolo che parla del patto d’amicizia con Campi Bisenzio.

L’invito della signora Hero Talabani è stato una sorpresa quanto mai gradita. L’opportunità di proseguire quanto iniziato in occasione del suo viaggio in Italia ospite del sindaco Leonardo Domenici e del Ministro della Salute Livia Turco.

Arriviamo alla residenza dopo il tramonto. Dalla collina, le luci di Sulaimaniya s’accendono in successione, a segnare i contorni della metropoli. Sulla porta ci viene incontro e salutiamo calorosamente Hatif Yashar, che abbiamo conosciuto a Firenze. Abbracciamo, sorridente come sempre, Dana Hussein Qadir di “Save the Children”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         La signora Talabani c’introduce in un salone accogliente, soffuso delle sfumature verdi pastello dei tendaggi, delle pareti, dei tappeti. Mazzi di fiori dove predominano i rossi, i gialli, gli arancioni composti con sapienza sui tavoli, insieme a vassoi di banane, fragole, kiwi, uva e arance. Si scambiano doni e si parla dei progetti in campo, facendo il punto e riprogrammando il lavoro futuro.

La cena con i tanti piatti della tradizione curda. Assaggiamo tutto con curiosità, in particolare sui vassoi ovali al centro della tavola, i salmoni provenienti dal Lago di Dokan, una località turistica ad ovest di Sulaimaniya, sulla strada per Erbil.

In più luoghi, dunque, abbiamo avuto occasione di affinare la nostra conoscenza della cucina curda. Il Nafoora restaurant, una grande sala su due livelli, al centro enormi tegami di rame finemente lavorati, ricolmi di riso con l’uvetta e una fila di bianche zuppiere con pomodori, fagiolini e involtini di melanzane ripieni di riso. D’attorno s’accalcano gli avventori. Si mangia a self service e dopo ci si serve il tè nei tipici bicchieri turchi.

Al ristorante al pianterreno dell’Hotel Alborz, crauti e cetrioli tagliati sottilmente, fagioli al pomodoro e melanzane cucinate in maniere diverse.

All’Abu Sana ambiente ovattato, luci soffuse, vino della Cuvee François Dulac e birra Heineken. Ricordo un ottimo tapulà: cuscus, aglio, cipolla e prezzemolo tritato.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Concordemente, il miglior kebab lo abbiamo mangiato al Sirwan, alle porte di Ciamciamal. Dalle ampie finestre si vedono i camion sparire nella luce abbacinante e nella polvere della strada per Sulaimaniya. Kika è kebab di pollo marinato nel limone. Croccante e davvero gustoso, i piccoli pezzi di carne sono portati caldi in tavola, infilzati in lunghi spiedi. Splendide anche le salsicce, condite con grasso bianco e aglio. I sottilissimi pani arabi qui sono particolarmente grandi, e appena arrivano in tavola i commensali, con senso di condivisione, s’affrettano a strapparne ciascuno una parte.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Il centro di Sulaimaniya è sempre affollato. Si passa davanti alla pizzeria La perla e alla barberia Milano, retaggi di soggiorni nel nostro Paese. Prima di scendere qualche scalino ed entrare nella parte al coperto più antica del secolare mercato, ci si sofferma davanti alla statua di Ibrahim Pasha fondatore della città e ad un grande cartellone che raffigura Shaikh Mahmud Barzingi autoproclamatosi re del Kurdistan nel 1922. Soltanto i bombardamenti della R.A.F. su Sulaimaniya ebbero ragione dei sogni d’indipendenza di questa regione. Qui un mausoleo ricorda Shaikh Mahmud che fu re per un solo anno.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         In due anni, dalla visita del 2006 dell’Ufficio italiano di International Peace Bureau, molte iniziative sono state messe in cantiere. Ci siamo impegnati con idee e progetti che abbiamo verificato richiedere tempo e fatica. Non sempre ci siamo riusciti. A volte abbiamo cambiato strada, perché la più breve non era percorribile. Sono tante le cose che si stanno mettendo in moto nelle relazioni tra le persone e le istituzioni dei nostri Paesi. A questo ho pensato quando, al momento della partenza, nell’hall dell’hotel ci hanno consegnato uno scatolone di cartone da parte della signora Talabani. Una promessa che la First Lady aveva preso a Firenze con Torello Latini proprietario dell’omonima trattoria, un “cult” per gli amanti della cucina toscana. Le era piaciuta l’idea del Latini di voler esporre nel locale i quadri degli studenti delle scuole della città.
Nello scatolone, una ventina di opere di giovani artisti curdi che Torello inaugurerà quanto prima. Un nuovo passo, questa volta internazionale, nella sinergia cucina e cultura che caratterizza questo locale.

articolo-dal-charmu.jpg

Vorrei finire con un omaggio alla forza delle donne curde, impegnate ad uscire da un millenario isolamento storico e sociale. Hanno sostituito per lungo tempo i loro uomini impegnati a combattere sulle montagne, quando non erano stati uccisi dall’Anfal. Assunzioni di responsabilità senza che questo si sia tradotto in riconoscimento sociale. La forte determinazione che ho sentito nelle donne incontrate a Sulaimaniya, a Halabja, a Ciamciamal ci dice che le cose stanno cambiando.

Tiziana si è aggregata al nostro gruppo all’ultimo momento. Ha scritto libri e pubblicazioni sulla condizione della donna, con riferimento particolare al Veneto dove vive. E’ qui per scrivere delle donne curde. Gulala le trova i contatti e insieme le vedo appartarsi, Gulala traduce,Tiziana prende appunti, con le rappresentanti dell’associazionismo femminile, delle organizzazioni politiche, dei diritti violati.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Aisha oggi ha settant’anni. E’ nata a Surdash nella provincia di Sarjalu a nord-est di Sulaimaniya. Otto figli da tirar su. Cinque maschi e tre femmine. Ci racconta una storia. La sua.

La guerra con l’Iran le porta lontano un figlio, Nawzad Hama Ahmed, nato nel 1956. Nawzad nel 1983 ha ventisette anni, con il suo battaglione è in prima linea a Fao sul Golfo Persico.

Nelle immagini della tv irachena, Aisha vede cataste di ragazzi morti sul fronte. Non può attendere oltre. Inizia da sola un doloroso viaggio.

In treno a Kirkuk e poi fino a Baghdad. Da lì in pullman sempre più a sud. Da Bassora in taxi fino all’ultimo avamposto civile. Davanti trincee e campi militari.

Una donna sola che non parla arabo e indossa abiti curdi. A tutti, soldati e ufficiali, Aisha mostra la foto del figlio.

Arriva a parlare al 1° ufficiale del battaglione nel quale combatte Nawzad.

“Se mio figlio è vivo lo voglio riportare a casa. Io gli ho dato la vita. Non voi”.

“Tuo figlio ora appartiene all’esercito”.

La notizia di questa donna e della sua ricerca del figlio arriva al generale, che la fa chiamare.

“Voglio premiare il tuo coraggio. A tuo figlio concedo una licenza di quindici giorni che nessuno ha avuto. Ma ricordati, al suo scadere lui dovrà essere qui”.

Trascorsi i giorni della licenza, la madre sceglie di non far tornare il figlio a combattere con l’esercito iracheno. Senza dire niente al marito, accompagna Nawzad in montagna, là dove combattono i peshmerga. Quello è il suo posto.

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Nota: Guarda tutte le foto (ingrandibili) nella galleria delle immagini!


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La torre senza scale

7 dicembre 2007 Pubblicato da roberto

mayors-erbil-e-halabja.jpgdi Andrea Misuri. Parlando con i sindaci di Erbil e Halabja.

Salar Khudur Hussain è presidente del consiglio comunale di Erbil e docente di Tecnologia all’Università. L’accompagno a cercare dei regali per i quattro figli dei quali mi parla fiero. Il viso ovale, i piccoli baffi brizzolati, Salar comunica con gli occhi un’istintiva simpatia che trasmette all’intorno e un’attenzione speciale a ciascun interlocutore. Nella difficoltà della traduzione, un’espressione dello sguardo aiuta a sostituire la parola mancante.
Khedr Kareem è sindaco della città martire di Halabja. Completo blu e camicia bianca, la cravatta con i gigli di Firenze dalle tonalità oro e azzurre, ricordo della visita di un anno fa. “La Nazione”, il quotidiano della città, lo descrive: “La sua voce è ferma. I suoi grandi occhi neri sono tristi”. E’ il resoconto della conferenza stampa a chiusura del convegno voluto dal vice presidente di Mayors for Peace e sindaco di Firenze Leonardo Domenici, che ha visto tanti sindaci riuniti nel Salone dei Cinquecento. Sotto i pannelli dipinti da Vasari e circondati dai grandi affreschi che descrivono le battaglie e i successi militari di Firenze su Pisa e Siena, i sindaci di MfP hanno discusso e approvato l’appello per l’eliminazione delle armi nucleari. La “testimonianza” di Kareem fa male, penetra come una lama nell’attenzione dei presenti, messaggio di dolore per la sofferenza degli abitanti di Halabja e, con loro, di un intero popolo.
Salar e Khedr hanno davvero nella vivacità degli occhi, nella loro capacità comunicativa, un punto che li accomuna fortemente.
Con loro ho parlato a lungo tra un incontro e l’altro, nei tre giorni d’intensi contatti e colloqui che hanno avuto in città, a margine del convegno. Di quel 16 marzo 1988. Gli aerei che arrivano sopra Halabja distribuiscono la morte e sofferenze infinite ai superstiti. In seguito con la dinamite si fanno saltare gran parte degli edifici della città. Molti scappano in Iran. Il confine corre ad una manciata di chilometri, dietro la catena montuosa. A marzo c’è ancora la neve ad imbiancare i picchi. Sono trascorsi vent’anni, molti dei profughi non sono più rientrati.
Chi è rimasto, attende risposte forti a grandi problemi. Il terreno e le acque dell’intera provincia sono tutt’ora inquinati. Si scavano pozzi sempre più profondi, ma non è sufficiente. Per sopravvivere ci si affida a piccole attività commerciali.
E’ una realtà che ritroviamo in altre zone dell’Iraq, penso a Bassora. L’uso delle armi chimiche uccide lavori millenari legati al ciclo della terra e all’allevamento del bestiame. Halabja era conosciuta per i suoi pomodori, forse i migliori sui mercati dell’Iraq. Oggi quei pomodori hanno pochi compratori, troppa la paura del terreno contaminato.
Khedr Kareem spiega come la ricostruzione della città va avanti: “Si alzano nuovi edifici, si lavora alla realizzazione di una rete idrica. Si progettano strade e infrastrutture indispensabili come volano di un’economia ferma per troppo tempo. Il futuro è un bacino di raccolta delle acque che risolva definitivamente la carenza idrica della regione. Si lavora al progetto, e intanto si cerca di raggiungere il budget necessario per partire”.
Si parla del passato di Halabja e il discorso va a cadere, e non può essere diversamente, su Adela Khanm e Shamsa Khanm, donne che hanno governato con saggezza il Principato in epoche diverse, quando qui c’era l’Impero Ottomano e mussulmani, cristiani ed ebrei convivevano pacificamente. La conferma del ruolo che la donna ha da sempre nella società curda.
Un tempo, è vero, le donne ricevevano meno istruzione. Oggi, soprattutto nelle città, questo divario sta sparendo. Sono rimaste alcune attività lavorative prerogativa dei soli uomini, in particolare nell’edilizia. Le donne che intraprendono ingegneria sono soltanto il trenta per cento. Il processo è però in atto. Sono guidati da donne diversi Ministeri in Kurdistan e due anche a Baghdad. Va aggiunto che le donne sono ben presenti anche nella cultura. Proprio in questi giorni esce in Italia per Bompiani la trilogia di una scrittrice trentenne, Laleh Khadivi, sulla quale la casa editrice punta molto.

Erbil è città in rapida trasformazione. Ancora Salar: “C’è un master plan con progetti a fasi distribuite nel tempo, cinque, dieci, fino a trentacinque anni. E’ in atto un forte sviluppo nella lavorazione del ferro”.
Si costruiscono il Royal e l’Empire, hotel che mi appaiono, attraverso le foto sul suo pc, ultra moderni e accessoriatissimi, come gli hotel di Dubai o degli Emirati Arabi. Destinati ad una clientela d’affari e di turisti innamorati delle bellezze archeologiche che, sopravvissute alla follia della guerra, tra non molto saranno fruibili per gli appassionati.
I cantieri si stanno moltiplicando. Si lavora a grandi strade di comunicazione per superare il secolare isolamento del Paese.
La capitale si sta avviando ad un rapido sviluppo economico e ad una prossima esplosione demografica. I 980.000 abitanti del 2006, si prevede saranno 1.232.000 nel 2010, per arrivare a 2.500.000 nel 2030.
Con le slides scorrono veloci grafici, diagrammi e “torte” colorate. Puntini rossi, gialli, blu, verdi segnalano le trasformazioni del tessuto sociale. La situazione della città e i suoi dintorni, gli scenari futuribili, le politiche strategiche dello sviluppo urbano. Indagini socio-economiche, sulle strutture industriali e commerciali, sui servizi sanitari e di comunità ne fotografano il presente e il futuro.
Erbil, costruita intorno al suo millenario castello, diverrà presto patrimonio comune dell’umanità, quando si concluderà l’iter del progetto dell’Unesco. La cultura svolge qui un ruolo importante. Molte le sale per le conferenze, tre o quattro i teatri. Due sale cinematografiche proiettano film indiani, cinesi, giapponesi. Non mancano quelli americani ed europei. Arrivano anche film italiani, ma dei nostri attori, gli amici curdi ricordano soltanto i nomi di Sophia Loren e Claudia Cardinale.
All’Università ci sono due dipartimenti di lingua inglese ed uno di francese.
Non sorprende sapere che i sindaci conoscono alcune opere letterarie italiane. La vita di Galileo, Il Principe di Niccolò Machiavelli, La vita di Leonardo da Vinci e quella di Michelangelo.
Erbil ha vinto l’ultimo campionato di calcio iracheno. Quest’estate la vittoria dell’Iraq in Coppa d’Asia. Salar e Khedr non sono tifosi di calcio. “Lo è mio figlio” ricorda Salar. Concordano, però, nel rilevare come questo successo ha unito l’intero Paese. Aggiungono che molti sono gli sport praticati: tennis, basket, restling, pallavolo maschile e femminile. Fra i più diffusi, il gioco della dama ed un altro che mi ha ricordato quello delle tre carte, sostituite dai cappelli tipici curdi.
Tra le città del Kurdistan, Erbil è sicuramente quella più in bilico tra passato e presente. La relativa sicurezza di un territorio che attira investimenti occidentali, i proventi dell’estrazione del petrolio che cominciano a tornare nel Paese, il ruolo strategico di una regione che si trova a giocare un ruolo chiave nello scacchiere mediorientale, spingono a guardare in avanti, attenti comunque a tenere ben salda la memoria storica, che trapela, palpabile, ad ogni angolo, girando nella città vecchia.
C’è una storia curda che racconta del giovane Akhmad che rinchiuso in una torre senza scale e senza vie d’uscita, trova lo stratagemma per liberarsi. La scaltrezza del ragazzo, la sua capacità di risolvere l’intricata situazione, ben rappresenta la forza d’animo del popolo curdo. Se nel passato molte sono state le torri senza scale che i curdi hanno conosciuto, il presente indica una via d’uscita
che questo popolo sta già percorrendo.

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Nell’incontro conclusivo di Firenze il vivo apprezzamento all’IPB

26 novembre 2007 Pubblicato da roberto

Il particolare impegno dell’International Peace Bureau, nel supporto di adesione alla Campagna, non solo dei numerosi Comuni italiani ma anche di città “lontane” quali quelle dell’Iraq e dell’Iran, è stato ribadito dal consigliere Susanna Agostini, delegato del sindaco Domenici per i rapporti con la “Mayors for Peace”, all’apertura dei lavori della “tavola rotonda” che nel pomeriggio del 23 novembre ha concluso la “tre giorni” di Firenze dei Sindaci per la Pace (vedi comunicato stampa del Comune di Firenze).
E’ stato un incontro ristretto alle sole delegazioni rimaste, di Sindaci provenienti principalmente dal Kurdistan iracheno (Halabja, Erbil, Chamchamal e altre) in un incontro proficuo e amichevole, in cui si sono scambiate esperienze e intessuti o approfonditi rapporti già esistenti quali quelli scaturiti dalla Mission nel Kurdistan nella primavera dello scorso anno.

A margine dell’incontro sono stati presentati lavori e testimonianze. Il “diario di viaggio” Appunti da un viaggio in Kurdistan di Andrea Misuri e Eva, filmato realizzato da Omar Hamarash dell’associazione irachena “Peace Voice Center”. Quest’ultimo racconta il periodo dell’Anfal attraverso i ricordi di una sopravvissuta.

Nota: Comunicato stampa (23-11-2007) del Comune di Firenze
La torre senza scale - Parlando con i Sindaci di Erbil e Halabja
“Appunti da un viaggio in Kurdistan” - due incontri di presentazione (dall’archivio del sito)
Album fotografico degli eventi del 23
Rassegna Stampa / Press Release
Breve Video flash report dell’evento

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Mayors for Peace, il programma dei lavori ed il convegno nel Salone dei 500

21 novembre 2007 Pubblicato da roberto

IPB-Italia è tra i promotori e organizzatori della serie di importanti incontri che in questi giorni la città di Firenze ospita. Riassumiamo qui gli eventi, riportando un comunicato stampa dal Comune.


Da oggi pomeriggio e fino a venerdì prossimo i sindaci delle città provenienti
da tutto il mondo dell'associazione "Mayors for Peace" si riuniscono a Palazzo
Vecchio.
Questo il programma dei lavori e le previste conferenze stampa.
Oggi, dalle 13,30 riunione dell'esecutivo dell'associazione. I lavori si svolgono a
porte chiuse e sono presieduti dal sindaco di Hiroshima Akiba Tadatoshi,
presidente dell'associazione.
Domani giovedì 22 novembre, in Sala di Lorenzo dalle 9,00 proseguono a porte
chiuse i lavori dell'esecutivo. Al termine dei lavori, alle 12,30 conferenza stampa
con il sindaco di Hiroshima presidente dell'associazione "Mayors for Peace" per
illustrare i temi affrontati in preparazione dell'VIII Conferenza di Riesame del
Trattato di Non Proliferazione che si svolgerà a maggio del prossimo anno a Ginevra.
Venerdì 23 novembre, nel Salone dei '500 dalle 10,00 si svolgerà il convegno: "Le
città non sono bersagli. Liberiamo il mondo dalle atomiche". Parteciperanno il
sindaco di Firenze e vicepresidente dell'associazione "Mayors for Peace", Leonardo
Domenici, il presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi, l'assessore della
Regione Toscana alla cooperazione internazionale Massimo Toschi. Sono previsti
gli interventi di Akiba Tadatoshi sindaco di Hiroshima e presidente "Mayors for
Peace", dei sindaci di Akron, Manchester e Nagasaki, del sindaco governatore di
Bagdad, dei sindaci di città irachene e di città iraniane, dei sindaci di Ghedi, Aviano
e Peer i cui territori ospitano basi atomiche.
Durante il convegno sarà letto ed approvato l'appello dei sindaci e dei presidenti di
provincia italiani che aderiscono all'associazione "Mayors for Peace", chiedendo
l'eliminazione delle armi nucleari.
Al termine del convegno, alle 14,00 in Sala di Lorenzo, conferenza stampa con il
sindaco Leonardo Domenici, il sindaco di Hiroshima ed alcuni sindaci delle città
irachene ed iraniane. (uc)

Nota: Alcune immagini

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La partecipazione dei Sindaci al conferimento della cittadinanza onoraria a ElBaradei

3 ottobre 2007 Pubblicato da roberto

Sono parecchi i Sindaci che, dalla Toscana e dall’Emilia, hanno accolto l’invito e annunciato la loro presenza alla cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Firenze a Mohammed ElBaradei, il 6 ottobre prossimo in Palazzo Vecchio.

Si tratta infatti di ben 66 sindaci sui 79 invitati fra Toscana ed Emilia Romagna.
Cio’ significa che l’85% dei sindaci è riuscito ad organizzare la propria agenda o una propria rappresentanza per non mancare a questo primo importante appuntamento che oltre a tenere in rete i sindaci li fa sentire partecipi e uniti per un medesimo unico obiettivo che è LA DIFESA DEI LORO CITTADINI DALLA MINACCIA DELLE ARMI NUCLEARI.

E’ allora bello ricordare, a questo proposito, la motivazione che spinse l’International Peace Bureau a conferire lo scorso anno, proprio alla Campagna dei “Mayors for Peace”, il prestigioso premio “Sean Mac Bride” (vedi anche la pagina dal sito della Campagna): “IPB offre questo riconoscimento perché i Sindaci che hanno aderito e che aderiranno alla Campagna hanno riconosciuto che le politiche internazionali non possono essere lasciate ai Capi di Stato. I Sindaci sono più vicini, rispetto ai governi nazionali, ai miliardi di persone che potrebbero essere obiettivi di un attacco nucleare. Questo premio è pertanto un segno, non solo del nostro rispetto e ammirazione, ma anche nel desiderio che sempre più Sindaci aderiscano alla Campagna, e che essa possa continuare finché le nostre città divengano sicure da ogni bombardamento con armi convenzionali o nucleari”.

Avanti così, con impegno e speranza in un futuro senza l’incubo dell’olocausto nucleare!

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