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I quattrocentonovantanove zainetti di Halabja

20 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Questo è l’ultimo della serie di reportages scritti a Andrea Misuri, nostro socio e “compagno di viaggio” nella missione di pace nel Kurdistan iracheno.
E’ un sunto dei ricordi e degli incontri che a distanza di mesi si affaccia ancora nella mente di noi “reduci”; il tutto nel suo stile vivace e discorsivo.

L’arrivo
L’aeroporto di Erbil appare attraverso l’oblò. Le ombre della notte lasciano il posto ai barlumi del nuovo giorno. Sotto di noi, la lunga striscia di cemento. Intervallata dalle luci, che nelle nebbie sottilissime del primo mattino indicano il percorso al pilota. Identica alle piste degli aeroporti di tutto il mondo.
L’orologio segna ancora l’ora di Roma, le 3,30. Eravamo partiti da Francoforte. Aeroporto immenso e labirintico, deserto per l’ora notturna. Lo avevamo percorso a passo sempre più svelto, trascinandoci il bagaglio sulle valigie a rotelle. Eravamo entrati direttamente nella pancia dell’aereo della Kurdistan Airlines.
Quattro ore dopo, le ruote dell’aereo toccano terra. La maggior parte dei passeggeri sono curdi che tornano a casa. Molte le coppie con i piccoli. Le donne indossano vestiti eleganti, dai colori accesi. Gli uomini vestono all’occidentale. Solo qualcuno ha già l’abito della tradizione. Ampi pantaloni e casacche strette in vita da una lunga fascia di cotone, indossati con eleganza e naturalezza insieme.
Mi affaccio alla scaletta e sento prendermi da un’euforia controllata. Mi ricordo di quando, molto tempo fa, a vent’anni o poco più, ho girato tanti Paesi. Ben sapendo, da allora, che il vero viaggio è sempre quello dentro di noi. Alla ricerca delle nostre parti insondabili, a noi stessi sconosciute.
Certo che avrei nuovamente vissuto sensazioni forti.
Scendo gli scalini e m’avvio con i compagni di viaggio verso la palazzina ad un piano che vediamo davanti a noi. Sormontata dalla scritta Erbil International Airport.
Si forma una lunga coda. Problemi sui visti. I doganieri svolgono il loro lavoro con grande attenzione. Oltre al bagaglio personale, ingombriamo la piccola sala dell’aeroporto con le sedici grandi scatole contenenti gli zainetti par i bambini della scuola Marzabotto di Halabja. Alfine si esce. Il sole già sull’orizzonte. Intorno la pianura brulla, interrotta, qua e là, da costruzioni basse, puntini lontani disposti casualmente a riempire lo spazio.

Buona lettura!

Il primo automezzo che vediamo ha, incredibilmente, la targa di Firenze. Un vecchio Ford Transit bianco.
Piero, simpatico e dai modi diretti, è il conducente. Dopo la presentazione cominciamo a parlare. Come vecchi amici che si ritrovano nel loro peregrinare. Con lui, Omar, un curdo che ha studiato a Bologna, dal perfetto accento italiano, si rivelerà utile guida per conoscere il Kurdistan.
Piero è di Porretta Terme. Paese, un tempo, di dura terra lavorata e d’emigrazione. Era partito da lì quattro giorni prima. Sarebbero rimasti con noi alcuni giorni, prima di scendere a sud, cercando di raggiungere Baghdad.
Incontriamo i referenti istituzionali. Tra loro, il sindaco di Halabja Khadir Kareem Mohammed.
Presto sarà a Firenze, invitato dal sindaco Leonardo Domenici vice presidente della Mayor for Peace. Khadir, il primo sindaco iracheno ad iscriversi alla Mayor for Peace. Sindaci che hanno a cuore il futuro delle comunità che rappresentano.
Prendiamo posto sul pulmino, un vecchio Mercedes, che ci accompagnerà, sbuffante e ansimante, per le strade del Kurdistan.

I primi incontri
Il primo appuntamento istituzionale è alla sede del Parlamento.
Un lungo muro di cinta. All’entrata, blocchi di cemento obbligano l’autista a zigzagare prima di fermarsi alla garitta. Giovani in armi, i kalashnikov a tracolla, autorizzano il passaggio. Entriamo nel Palazzo. Al centro dell’ampio salone l’enorme ritratto di Mustafà Barzani, fra le bandiere del Kurdistan. Al centro il sole che irradia i suoi raggi, a sovrapporsi ai colori bianco rosso e verde disposti orizzontalmente. Ai lati due guardie in alta uniforme.
Dietro, due scaloni semicircolari si congiungono in alto.
Da lì si entra nello studio di Adnan Al-Mufti Presidente del Parlamento. Poco più che cinquantenne, uomo che suscita rispetto e ispira simpatia.
Saprò poi che ha passato la maggior parte della vita nella lotta partigiana. E’ a persone come quella che ho di fronte, che ha pensato Sherko Bekas, il maggior poeta vivente curdo, quando scrive

”La lotta, da noi, Laura, inizia dalla culla
e va fino alla tomba. E’ avvinghiata al nostro corpo, Laura.
Pane e dolore mangiamo tutti i giorni, insieme alla nostra lotta, Laura.
Dormiamo più tempo con la lotta,
che con le nostre donne, Laura,
viviamo più tempo con la lotta che con i nostri figli, Laura.
Ma, Laura, Laura, il mio Kurdistan,
il mio Kurdistan
tu non dimenticare il Kurdistan.”

L’autore ha trascorso molti anni in esilio. Ora vive a Sulaymanya.

Durante l’incontro con Al-Mufti, parlo delle motivazioni che ci hanno spinto a venire fin qui. Di Firenze città portatrice di pace, da sempre aperta ai viaggiatori di ogni Paese. E’ con emozione che appunto sulla giacca del Presidente il giglio d’argento. Nessuno di noi poteva sapere, in quel momento, che due mesi dopo lui stesso sarebbe stato ricevuto dal Sindaco in Palazzo Vecchio, nella sala di Lorenzo. Così chiamata perché lì, Lorenzo il Magnifico riceveva gli ambasciatori che a Firenze venivano dalle terre più lontane.
Quando lasciamo la sede del Parlamento, prendiamo la strada che scende a sud. Dobbiamo raggiungere Sulaymanya. Il nostro minibus è preceduto dal camioncino con i 500 zainetti. Davanti fa da apripista la Toyota con il sindaco di Halabja.
Usciti dalla città, le case diradano. Ogni tanto attraversiamo qualche villaggio. Case fatte di sassi e fango. Lamiere per tetti. E poi le antenne satellitari che sempre ritroveremo anche nei luoghi più sperduti, a volte unico segno di riconoscimento del secolo nel quale viviamo. Poi anche i villaggi scompaiono. Attraversiamo una valle, al centro un torrente che i mezzi guadano. All’intorno un pugno di case, una minuscola moschea con i muri verde pastello. I bambini a giocare sulla strada polverosa, alzano gli occhi stupiti e curiosi al nostro passaggio. Per lungo tempo non ci sono più segni di vita. Le auto s’inerpicano su strade tortuose. Incontriamo un pastore con il suo gregge di pecore. E’ un ragazzo giovanissimo, poco più di un bambino. Delle baracche sono abbarbicate su un tornante. Il sindaco vuole offrirci della frutta. Compra banane e arance per noi. Semi di zucca per l’autista, dei quali gran mangiatore, li sgranocchierà per il resto del viaggio. Arrivati in cima al passo, il corteo affronta le curve della pista che velocemente degradano verso la pianura sottostante. La strada che percorriamo resta l’unico segno della presenza dell’uomo. Montagne brulle intorno. Sotto, la valle fatta di distese di prati spelacchiati.
C’inerpichiamo nuovamente, ora in modo più deciso. Arriviamo a Balessan, uno dei primi villaggi travolti dalla campagna dell’Anfal.
L’intera popolazione ci accoglie sui due lati della strada che raggiunge il punto più alto del paese aprendosi in un piccolo spazio. Qui avviene la breve cerimonia di saluto e la visita del luogo che raccoglie la memoria dell’eccidio. Togliendoci le scarpe, seguiamo i rappresentanti locali nel mausoleo. Una stanza dove, appese alle pareti, si susseguono le fotografie dei morti. Tanti i bambini.
Quando usciamo, siamo circondati da ragazzini, usciti a frotte dalle case. Per loro, l’occasione per trascorrere un attimo diverso dalla routine. Sono belli e dolcissimi, con dei grandi sorrisi che illuminano volti dai lineamenti incredibilmente delicati.
Fulgida tira fuori la valigia che per tutto il viaggio si era tenuta vicino. Escono così piccoli oggetti utili a comunicare. Sono palloncini colorati che Fulgida, Lara e Luciano gonfiano. Sempre più rapidamente, ma non è sufficiente. Nugoli di bambini arrivano, attratti dall’evento inatteso. Dalla valigia, come quella di Mary Poppins, per magia continuano ad uscire i palloncini.

Arriviamo a Sulaymanya che comincia l’imbrunire.
L’hotel Babylon è un palazzo su due piani. Nella hall, davanti al bancone della reception, un abete finto, illuminato delle luci natalizie. La sua funzione è puramente decorativa e dura tutto l’anno.
All’ultimo piano c’è la sala ristorante.
Quando vi arriviamo, depositate le valigie nelle camere, accogliamo con gioia, data l’ora tarda, gli hamburger e le patate fritte che i gentilissimi camerieri ci propongono.
Fra noi italiani, chi conosce meglio la cucina mediorientale è indubbiamente Filippo.
Nell’aspetto, Filippo è il viaggiatore doc. Capelli arruffati, lunghi sulle larghe spalle. La barba, scomposta e folta a incorniciare il sorriso scanzonato. Al collo, immancabili, macchina fotografica e cinepresa.
Ci dà qualche breve consiglio che si rivelerà utile per meglio capire i piatti tradizionali.

Note
Sulaymanya ha più di duecento anni. Sul finire del XVIII secolo diventò la capitale del Principato di Baban. Prendendo il posto della città di Kalacholan.
Jalal Talabani, attualmente Presidente della Repubblica dell’Iraq, è di questa regione. Una vita passata combattendo. Partigiano indomito, nel 1975 fonda il Puk, il partito unitario curdo. Talabani e Massud Barzani, figlio del leggendario Mustafà Barzani e leader del Pdk, il partito democratico, sono i due carismatici politici che guidano il sogno di autonomia del popolo curdo.
A Sulaymanya nel marzo 1991 la popolazione scese in piazza. Migliaia di persone si riversarono nelle strade, prendendo d’assalto le caserme e gli edifici pubblici. Per ultimo fu cinto d’assedio il carcere di massima sicurezza dove venivano torturati e uccisi donne e uomini che credevano in un Paese libero. L’assedio durò più di ventiquattro ore. Poi anche il carcere fu invaso dagl’insorti. Moderna “Bastiglia”, oggi è lì, aperto al pubblico, per non dimenticare.
Subito a nord della città c’è un monte, il Pira Magrun. Come riporta la rivista “Archeologia Viva”, tre anni fa una spedizione del Laboratorio di Assiriologia dell’Università di Pisa arrivò fin qui per trovare conferme alla possibilità che questa sia la montagna del Diluvio Universale, e non l’Ararat come indicato nella Bibbia. L’ipotesi parte dalla rilettura degli scritti assiri, prende in esame i racconti mesopotamici dai quali discendono i testi biblici, per trovare, con la spedizione, conferma nella morfologia del terreno. Un’onda anomala, forse causata da un meteorite. Uno “tsunami” di migliaia di anni fa. Che risalendo controcorrente il Tigri e poi il suo affluente di sinistra, la Diyala, è andato a frangersi contro il Pira Magrun che s’innalza al centro di una valle. Si parla del Diluvio Universale, e non dell’Arca di Noè. Secondo i ricercatori, l’Arca, così come è stata tramandata, non è mai esistita. E’ un mito. E l’Iraq è la terra dove sono nati gran parte dei miti, che poi ritroviamo in tante civiltà.

Halabja
Dalla terrazza sul tetto del Babylon l’alba di Sulaymanya è striata di leggere nebbie che s’alzano lentamente nel cielo grigio. Si prospetta una giornata decisamente calda.
La città è tutta un cantiere. Si viaggia tra dossi e avvallamenti dovuti ai detriti che camion e bulldozer spostano da un punto all’ altro. Il pulmino va avanti scartando qua e là per evitare i lavori in corso.
Di buon’ora prendiamo la strada per Halabja. Correndo verso la periferia est della città, dal finestrino vediamo chilometriche code di “tacsì”, bianchi con la striscia orizzontale arancione. Sono tutti in coda in attesa della benzina razionata spettante a ciascuna autovettura, a prezzo calmierato. Nadhim mi dice che i tassisti dovranno pazientare lunghe ore. Fuori dalle auto ferme, chiacchierano e scherzano tra loro. Sanno che oggi è giorno dedicato al rifornimento di carburante. Ovviamente la benzina viene venduta anche dai privati. Si riconoscono, ai bordi ormai assolati della strada. Si vedono decine di taniche allineate l’una all’altra, in attesa di clienti. Il venditore afferra una tanica ed un grande imbuto, provvedendo a riempire il nostro serbatoio.
Halabja dista settanta chilometri da Sulaymanya. Eppure sono necessarie un paio d’ore per raggiungerla. Innumerevoli i posti di blocco. I peshmerga, una sedia di plastica e un ombrellone per ripararsi dal sole che sta salendo nel cielo azzurro, controllano le auto in transito.

Halabja è stata fino ai primi anni del secolo scorso un Principato autonomo. Dopo la Prima Guerra, con la fine dell’Impero Ottomano e la nuova ripartizione di tutti gli Stati che all’Impero facevano riferimento, andò a far parte anch’essa del Paese che le potenze vincitrici decisero di creare, l’Iraq. Non tenendo conto di un passato millenario. Ma della dislocazione dei giacimenti petroliferi.

Il 16 marzo 1988 era un mercoledì. Nel pomeriggio arrivarono gli aerei. Sganciarono le bombe con i gas chimici. Nell’aria si sparse un odore dolciastro. Che ricordava quello delle mele. Oltre 5000 morti. Uomini, donne, bambini fermati nei gesti della vita quotidiana. Le foto ce li mostrano che sembrano dormire. Come in quei documentari che ricostruiscono la fine di altre comunità, come a Hiroshima e Nagasaki.
A Halabja si nasce ancora con gravi malformazioni.

Arriviamo davanti alla scuola Marzabotto. La città italiana fin dal 1988 ha stretto un Patto d’amicizia con Halabja. Fu costruita questa scuola. E’ sicuramente uno degli edifici più belli del luogo. Qui studiano circa cinquecento bambini. Sulle scale che immettono nella struttura scolastica siamo accolti dalle canzoni di benvenuto dei piccoli studenti accompagnati dalle maestre. I bambini indossano i vestiti della festa. Sono tutti ben acconciati. I maschi presentano la divisa dei capelli demarcata. Le femmine portano, tra i capelli, trecce colorate che le mamme hanno sistemato con cura. Consegnano fiori di plastica, in questa terra che i suoi fiori li ha persi da tempo, a causa degli effetti letali delle armi chimiche sul terreno.
All’entrata un tavolo rotondo è ricoperto di candeline colorate che siamo invitati a spengere. Per terra un bambino, indosso l’abito tradizionale curdo, in testa la kefia a scacchi bianchi e neri.
E’ raccolto in posizione fetale. Un bambolotto racchiuso tra le mani. E’ la rappresentazione del giovane padre di Halabja che fu trovato morto, stringendo al petto la piccola figlia. L’immagine stessa, ormai, della tragedia di questa città e dell’intero Kurdistan iracheno.
Edoardo Masetti, il sindaco di Marzabotto, non ferma le lacrime, mentre ricorda come le due città si trovano unite dalla comune tragedia dell’eccidio dei propri abitanti. Un sentimento che irrompe nella storia. Essere rappresentanti della comunità. Comunità di bambini, di donne e uomini. Nessuno escluso.
Poi, classe per classe, la consegna a ciascun bambino degli zainetti, mentre compunti e incuriositi guardano Edoardo che rivolge loro parole di fiducia in un prossimo futuro di conquistata pace e tranquillità. Con i loro pochi anni possono permettersi di sperarlo. La nostra presenza, per loro, è il segno di un cammino aperto. Per noi un auspicio.

E poi…
Nei giorni successivi avremmo continuato a passare lunghe ore sul nostro scassato Mercedes. A intervallare incontri ufficiali e visite le più varie. Non ho visto Raman lamentarsi. Ha quattro anni. E’ figlio di Gulala e Nadhim. E’ la seconda volta che viene a trovare i nonni. Va detto che Raman non ha voluto essere a meno dei “supereroi”, protagonisti dei cartoni animati che più ama. Si è mai visto un “supereroe” che cede alla stanchezza?
In quei giorni Raman ha giocato spesso con Ara, la figlia dodicenne di Khadir Kareem e con i fratelli di lei. A vederli giocare tutti insieme, ho pensato che questa, forse, sarà la prima generazione che potrà vivere in un Kurdistan libero. Un Paese al quale è riconosciuta identità e storia.
Sul minibus siedo spesso accanto a Renzo. E’ di Cormons, dalle parti di Gorizia. Terra di eccellenti vini bianchi.
I friulani sono persone dai lunghi silenzi e dal cuore in mano. Non so se nel carattere di Renzo c’è il primo di questi tratti. Il secondo certamente. Insieme sul pulmino. E poi la sera a dividere la camera. Io con le mie battute da maramaldo toscano, lui con i suoi salaci sfottò venati d’ideologia.

Nel rimettere i bagagli per tornare a casa, si trova uno zainetto. Uno dei 500. Rimasto chissà come confuso tra altre cose. Fulgida me lo regala. Un ricordo di quei giorni. Lo uso, ora, come “valigetta” per i documenti e gli appunti.

Ci salutiamo. L’impegno è di ritrovarsi da Filippo. Al suo eremo. Un ex casello ferroviario nelle campagne intorno a Venezia. All’interno un grande camino, una libreria che strabocca di libri e cd. E poi il pianoforte, vero compagno dei momenti di solitudine. La rete ferroviaria corre a non più di un metro dalla recinzione del piccolo giardino. All’ombra di un albero, seduti intorno a un lungo tavolo, allietati dalla grigliata di carne e da un buon rosso locale, avremmo estratto dalla memoria i momenti trascorsi insieme. Gettato le basi di nuovi comuni progetti.
Ora quei progetti cominciano a prendere forma. Potrebbero diventare aiuti concreti per un popolo, quello iracheno, affamato di normalità.
Forse torneremo in Kurdistan. E riprenderemo il viaggio alla ricerca di noi stessi.
Lo zainetto verde è con me. Ricordo di un viaggio che ha lasciato la voglia di rivedere amici e luoghi conosciuti in un Paese lontano e bellissimo.

Andrea Misuri

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Alla Campagna dei “Mayors for Peace” il premio MacBride del 2006

5 settembre 2006 Pubblicato da roberto

“IPB offre questo riconoscimento perché i Sindaci che hanno aderito e che aderiranno alla Campagna hanno riconosciuto che le politiche internazionali non possono essere lasciate ai Capi di Stato…” Questa la motivazione, in un certo senso rivoluzionaria, che Cora Weiss Presidente dell’IPB mondiale ha espresso nel conferimento del prestigioso Premio ai membri della Campagna mondiale per il disarmo atomico iniziata nel 1982 dai Sindaci delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. E prosegue: “I Sindaci sono più vicini, rispetto ai governi nazionali, ai miliardi di persone che potrebbero essere obiettivi di un attacco nucleare. Questo premio è pertanto un segno, non solo del nostro rispetto e ammirazione, ma anche nel desiderio che sempre più Sindaci aderiscano alla Campagna, e che essa possa continuare finché le nostre città divengano sicure da ogni bombardamento con armi convenzionali o nucleari”.

Il riconoscimento (una medaglia d’oro forgiata da un famoso artista irlandese) verrà offerto al Mayor di Hiroshima Akiba Tadatoshi, a Helsinki nel pomeriggio del prossimo 8 settembre, nel corso di una cerimonia alla Old Student House, Mannerheimintie, 3.

seanmacbrideIl “Mac Bride Peace Prize” è uno speciale riconoscimento annuale che l’International Peace Bureau, fin dal 1992, centenario della sua fondazione, in memoria di Sean MacBride e della sua opera, premio Nobel per la pace e Presidente di IPB tra il 1974 e il 1985, assegna a una persona od organizzazione che si sia particolarmente prodigata per la pace, il disarmo e/o i diritti umani.
L’attribuzione del riconoscimento è votata dallo Steering Committee dell’IPB, usualmente nei primi mesi dell’anno. I membri dell’IPB sono invitati a inviare suggerimenti e documentazione sui possibili candidati.

Nota: Vedi anche:

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Il Summit di Pianosa

4 settembre 2006 Pubblicato da roberto

logo-convegno-pianosa1.gif“Uno dei più orribili crimini della storia, dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, è sicuramente il massacro della popolazione civile subìto il 16 marzo 1988 dalla città di Halabja, nel Kurdistan iracheno, da parte del regime di Saddam.”.

Inizia così la dicitura esplicativa del volantino che descrive il convegno Insieme per la ricostruzione dell’Iraq svolto il 19 e 20 agosto 2006 all’isola di Pianosa.
Promotori del convegno, IPB-Italia e la “Mayors for Peace”, le Fondazioni Caponnetto e Sandro Pertini, l’importante summit ha visto insieme membri istituzionali e della Sanità italiana - dal Ministero della Salute, dall’Istituto Mediterraneo di Ematologia, dal Comune di Firenze, tanto per dirne alcuni, oltre che i Sindaci di Marzabotto e Campi Bisenzio - e rappresentanti istituzionali del Parlamento regionale del Kurdistan e del governo centrale iracheno.

Non solo Halabja, e non solo aiuti alla popolazione curda: nei numerosi interventi sono stati focalizzati diversi punti di impegno per sostenere il difficile cammino dell’Iraq nella ricostruzione. L’emergenza principale è quella sanitaria, ma le diverse sessioni del summit hanno spaziato anche sui fronti della legalità, della soluzione del conflitto, della ricostruzione delle infrastrutture e lo sviluppo economico, della ricerca di soluzioni per garantire nuovamente la convivenza civile nella ricerca di regole certe e pari opportunità di genere.

A conclusione dei lavori sono state individuate le seguenti 5 priorità (vedasi per i dettagli il documento finale):

1) Soluzione del conflitto/Educazione alla Pace
2) Cooperazione per la salute e servizi socio-sanitari
3) Politiche per la legalità e la democrazia
4) Politiche riguardanti la condizione femminile e le pari opportunità
5) Politiche per lo sviluppo economico

Il presente documento, nella stesura finale condivisa da tutti i partecipanti, sarà presentato a:

- Governo Italiano e Governo Iracheno. In particolare ai Ministri degli Affari Esteri, Salute, Pari Opportunità, Attività Produttive, Pubblica Istruzione.
- Tutti i Sindaci italiani e iracheni aderenti alla Campagna “Mayors for Peace”.

Sono adesso fruibili online i seguenti documenti:

Nota: Il documento originale (formato .DOC) è reperibile qua:
ITA - ENG

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Itinera Byzantino Turcica, il viaggio è finito!

14 agosto 2006 Pubblicato da roberto

           E’ una memoria labile quella degli umani.
Passano gli anni, il tempo scorre avanti, eventi del passato s’intrecciano via via più sfocati con le vicende del nostro incedere quotidiano.
Agli orrori succedono gli orrori, e le immagini di morte di dieci e più anni fa sono relegate presto ai libri di storia.

Impressioni ed emozioni si sono riaccese improvvise, oggi 13 agosto in riviera romagnola. La “carovana della sorellanza”, l’”Itinera Byzantino Turcica” dei ciclisti guidati dal bravo Marco Grilli, partita da Istanbul in una staffetta sportiva-diplomatica-umanitaria, portava con sé due pergamene.

Una di esse scritta in inglese, l’altra in italiano. Un testo chiaro di impegno per la pace, stringendo un patto di amicizia e di solidarietà, e richiedendo al mondo l’abolizione delle armi nucleari, chimiche e batteriologiche.
Spazi per le firme, i Sindaci delle città attraversate dalla carovana. Nomi di luoghi che accendono i ricordi, lì in quei Balcani le cui guerre del recente passato non sono più cronaca nel nostro pensiero, ma i cui segni tuttavia son rimasti.
Nis, Tuzla, Belgrado, Sarayevo… La mia mente riallaccia emozioni e spolvera tristezze, i contatti di allora con chi sotto le bombe provava a sopravvivere, lo sgomento per la crudele efficienza della macchina da guerra che macinava tragedie e distruggeva villaggi e città.

A Cervia nel pomeriggio. A Ravenna, tappa finale, la sera. Giovani usi al pedalare e dai visi emozionati e felici per la conclusione della faticosa impresa.
In palazzo comunale, l’incontro nella sala grande. I discorsi di rito e le foto ricordo. I Sindaci del consorzio Bassa Romagna ad apporre anch’essi le ultime firme con i timbri dei Comuni a suggello della validità - le pergamene oramai complete, quasi margherite i cui petali son via via apposti nell’intorno del messaggio di impegno nel nome dei propri cittadini.

Il lungo viaggio di Marco e della sua “carovana”, nel suo muoversi dalla Turchia all’Italia ha portato un filo. Un legame che ha voluto passare attraverso Paesi molto diversi tra loro, e molto diversi da noi. Dappertutto simpatia tra la gente, spesso burocrazia alle frontiere.
Un’iniziativa simbolica? Un fatto inutile? Qualcuno a dire il vero, tra gli amici e i conoscenti, mi aveva posto obiezioni. Facile sperare la pace con una firma di impegno. E poi avrà un valore? come farebbe a slavare, a diluire l’accesa verità delle immagini di morte che anche oggi dal mondo ci arrivano?
Certo sembra una favola da raccontarsi ai bambini. Ma se ritornassimo per una volta bambini? Se capissimo che le tendenze alla pace o all’odio si alimentano da principio proprio “dal basso”, dalla gente comune, dalla cultura, le abitudini, i legami forti o tenui con le altre comunità? E se si provasse appunto a partire da ciò, come del resto la stessa Campagna dei “Mayors for Peace”, nata dalle macerie di Hiroshima e Nagasaki, sta provando a fare? La diffusione di una cultura di pace partendo dai Sindaci, dall’anello di congiunzione, cioé, tra le istituzioni su cui si regge una società, e i cittadini… e se manca il substrato di accettazione delle guerre, le potenze che le invogliano e ne reggono le fila, avranno meno possibilità di realizzarle, chissà.

Nota: Vedi anche: Itinera Byzantino Turcica”: alla tappa finale la carovana del gemellaggio tra le due “città sorelle”

Guarda le immagini!

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Dall’olocausto di Hiroshima e Nagasaki alla campagna dei “Sindaci per la pace”

6 agosto 2006 Pubblicato da roberto

Non è una delle tante rievocazioni, in questo 6 agosto di memoria. Ma un sunto di attività svolte per diffondere una cultura volta al disarmo, attraverso la Campagna creata nel 1982 dai sindaci di Hiroshima e Nagasaki.

Sono già 24 anni che la Campagna “Mayors for Peace” si estende nel mondo, e con un obiettivo dichiarato: arrivare entro il 2020 a un disarmo atomico globale.
Mentre in Italia, in quest’ultimo anno…

Il 6 e 9 agosto 1945 le bombe atomiche statunitensi rasero al suolo le città di Hiroshima e Nagasaki spegnendo in un solo attimo centinaia di migliaia di vite umane. Oggi a 61 anni dalla guerra, gli “Hibakusha”, i sopravvissuti di quel giorno, soffrono ancora dei devastanti effetti della contaminazione radioattiva.
Per prevenire il possibile ripetersi di una simile tragedia le città di Hiroshima e Nagasaki non hanno mai cessato di dichiarare al mondo l’inumana crudeltà delle bombe atomiche e hanno sempre insistito sulla necessità di un totale disarmo nucleare.
Il 24 giugno 1982, durante la seconda Sessione Speciale sul Disarmo presso le Nazioni Unite di New York, il sindaco di Hiroshima propose un nuovo programma per promuovere una concreta collaborazione delle città per ottenere l’abolizione totale delle armi nucleari. La proposta offriva alle città di superare i confini nazionali e lavorare tutte insieme, così i sindaci di Hiroshima e Nagasaki si rivolsero ai sindaci di tutto il mondo per sostenere questo progetto.
Progetto che parte dalla riflessione del ruolo di sindaco, quale “uomo ponte” tra i poteri delle istituzioni publbiche e i bisogni del cittadino.

“MfP”, “Mayors for peace” risulta oggi composta di Primi Cittadini di città di tutto il mondo che hanno formalmente aderito al progetto del 1982.
“Mayors for peace” si incarica di facilitare la collaborazione e il coordinamento tra le città che sostengono il progetto di un’abolizione totale delle armi nucleari. Il suo compito principale è il lavoro, in sede internazionale, atto a costruire una precisa consapevolezza riguardo il pericolo degli armamenti nucleari in vista di un disarmo generalizzato.
“Mayors for peace” è anche formalmente impegnata nel perseguire una duratura pace mondiale con un’opera di denuncia e di intervento in caso di carestie, povertà, accoglienza di rifugiati, abusi nei diritti umani, crimini ecologici e in ogni altro caso che metta in crisi la pacifica coesistenza tra i popoli.

Il 6 luglio 2006, per le celebrazioni del 10° anniversario del parere espresso dalla Corte internazionale di Giustizia circa l’illegittimità dell’uso e della minaccia dell’uso dell’arma nucleare, il vice presidente della Campagna e sindaco di Firenze Leonardo Domenici ha fatto pervenire all’attuale presidente e sindaco di Hiroshima Akiba Tadatoshi una lettera con la quale, insieme a tutti i sindaci italiani, chiede che tutte le armi contemplate nella definizione “Armi di Distruzione di Massa” - nucleari, chimiche e batteriologiche - vengano definitivamente abolite.

- O - O - O - O - O - O - O -

“Mayors for peace”: in Italia, il bilancio di un anno
(appunti da Susanna Agostini, consigliere comunale in Firenze)

In questo primo anno di vice presidenza MfP, il Sindaco Leonardo Domenici ha dato un forte impulso alla crescita delle adesioni, anche attraverso l’impegno dell’ANCI che lui stesso presiede. Siamo arrivati, in Italia, a 234 città e 3 province che aderiscono alla MfP. Tutti gli 8100 Sindaci Italiani sono informati delle attività nazionali ed internazionali della MfP.

  • settembre 2005 - più di 100 Sindaci hanno incontrato a Firenze il Presidente Akiba Tadatoshi. Da allora è fiorito un susseguirsi di attività nei Comuni e nelle Province aderenti.
  • iniziative concrete di educazione alla pace come la diffusione, già programmata fino al 2008, della mostra fotografica multimediale itinerante “La lunga ombra del sole di Hiroshima - Immagini per non dimenticare” prodotta da IPB-Italia. Stimola un importante percorso informativo-educativo sulle armi nucleari e di nuova generazione “mini nukes”.
  • marzo 2006 - grazie all’iniziativa di IPB-Italia si è realizzata una missione di pace in Iraq. Una lettera del vice presidente Domenici è stata consegnata dal rappresentante della MfP, il Sindaco di Marzabotto Edoardo Masetti. Qui si è avviata una stretta relazione con le più alte istituzioni di quel Paese. Si sta sviluppando una rete di Sindaci Iracheni appartenenti alle tre etnie, sunnita, sciita e curda, iscritti alla MfP.
  • maggio 2006 - Rovereto - l’impegno degli Enti Locali per la Pace. Tavola rotonda fra istituzioni italiane ed europee.
  • giugno 2006 - Campi Bisenzio - giornata della Pace. Protagonisti Mfp/IPB-Italia/Fondazione Caponnetto.
  • luglio 2006 - Bruxelles - Leonardo Domenici, con una lettera a Akiba Tadatoshi, presente per MfP al 10° anniversario del parere della Corte Internazionale di Giustizia circa l’illegittimità dell’uso e della minaccia dell’arma nucleare, ribadisce il proprio impegno per l’abolizione di tutte le armi di distruzione di massa, nucleari, chimiche e batteriologice a nome dei Sindaci Italiani. Nell’occasione, Akiba Tadatoshi incontra la rappresentante di IPB-Italia, il Sindaco di Pineto Luciano Monticelli e il Governatore di Sulaimanya che presentano un progetto di ricostruzione e di pace per l’Iraq.
  • Dana Ahmad Majed Governatore di Sulaimanya (Iraq) ha scritto al Presidente della MfP che il vice presidente Italiano Leonardo Domenici resta l’interlocutore degli iscritti iracheni, grazie al suo impegno contro tutte le armi di distruzione di massa.
  • luglio-agosto 2006 - Itinera Bizantino Turcica - missione di pace a carattere sportivo. Gruppo di ciclisti amatoriali guidati da IPB-Italia. Da Istanbul attraverso Bulgaria, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Croazia, fino all’arrivo a Ravenna. In ogni città che attraversa, invita i sindaci ad aderire alla MfP e a firmare una pergamena di pace.
  • agosto 2006 “Summit di Pianosa” incontro preparatorio delle iniziative di ottobre. Sono stati invitati referenti delle Istituzioni Irachene per concretizzare azioni di cooperazione sanitaria e non solo, in particolare nei territori del Kurdistan Iracheno
  • ottobre 2006 - appuntamento di sindaci italiani e iracheni MfP, con associazioni, istituzioni e operatori di pace, per l’approfondimento dei contenuti del progetto di ricostruzione e di pace per l’Iraq. Per l’occasione sarà presente la First Lady dell’Iraq Hero Talabani.

Note:
Sito ufficiale della Campagna (in inglese e giapponese): http://www.mayorsforpeace.org
La celebrazione della “dichiarazione di pace” a Hiroshima:
http://www.city.hiroshima.jp/shimin/heiwa/declaration.html
Comunicato stampa di Susanna Agostini nel sito del Comune di Firenze (5 agosto 2006):
http://www.comune.firenze.it/cgi-bin/ufstampa/uscomu.cgi?tipo=5&id=25988&test=

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