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Archivio del 2006

La notte dei sogni d’amore

24 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Prima Classificata sezione adulti

Con dolcezza e fantasia, l’autrice ci conduce in un mondo di fiaba, dove elementi classici e personaggi originali si fondono con eleganza, trasmettendo ad adulti e bambini un messaggio positivo e pieno di speranza nel futuro.

La notte dei sogni d’amore

di Valeria Celli da Bologna

C’era una volta, in un mondo lontano, lontano, un grande castello. Il castello si ergeva in cima ad una montagna così alta da perdersi nel cielo e le torri della fortezza svettavano in mezzo alle
nuvole, che sembravano nasconderle e accarezzarle insieme. Il castello apparteneva al Tempo, sì proprio al Tempo che è temuto da ogni cosa e da ogni essere vivente perché tutto sa distruggere e far dimenticare.
Tempo era proprio una strana persona: a volte correva così in fretta da sorprendere tutti, a volte si muoveva adagio, adagio… così almeno sembrava, perché, in realtà, Tempo eseguiva il suo lavoro in modo meticoloso e preciso: era lui che divideva le ore di buio e di luce sulla terra, lui che imponeva lo svolgersi delle stagioni, lui che scandiva la vita di ogni cosa. Aveva diverse amicizie e riusciva ad andar d’accordo con tutti: chi lo trattava male, poi lo rimpiangeva e cercava di recuperarlo, chi lo trattava bene provava per lui gratitudine. Era amico di Morte e anche di Vita, eppure tra loro queste mal si sopportavano, tanto che quando una entrava, subito l’altra usciva…. Era amico del giovane quanto del vecchio: precedeva sempre il primo per spronarlo con le ambizioni, seguiva invece il secondo per sorreggerlo con i ricordi…
Insomma tutti lo conoscevano… c’era chi non conosceva Amicizia, Amore, oppure Odio e Antipatia, ma tutti -proprio tutti- conoscevano Tempo e ne avevano sempre un po’ soggezione.
Tempo spesso sentiva quella stanchezza che solo la noia può dare, così, per distrarsi, organizzava qualche festa nel suo grande castello. Invitava tutti quelli che lui conosceva bene perché, nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a far dimenticare: invitava gli uomini più famosi, i poeti, gli artisti, i condottieri, di cui Morte aveva preso il corpo ma non la luce che li illuminava, poi gli eroi dei romanzi e le antiche divinità rese immortali dagli artisti, invitava anche tutti i sentimenti che erano, dal giorno della creazione, sempre presenti sulla terra e lo avevano accompagnato nel suo lungo percorso. Quella volta Tempo decise di organizzare una festa splendida . I suoi servitori più vecchi, Millennio e Secolo, prepararono un sontuoso banchetto, quelli più giovani, Minuto e Secondo, pulirono a specchio ogni stanza e illuminarono tutto il castello. Iniziarono ad arrivare gli invitati vestiti con grande eleganza: pepli greci e toghe romane si mescolavano ad abiti lunghi e smoking bianchi e neri, e tutti gli ospiti, con cortesia, si facevano reciprocamente i complimenti, lieti per il gradito invito. Le danze iniziarono e Tempo ballò con la sua ospite preferita, Armonia. L’aveva sempre amata da quando lui guidava la terra, la trovava eccezionale sia per la grazia che aveva nel porgersi, sia per l’equilibrio delle sue parole. Pensò che forse organizzava quelle feste solo per rivedere lei: non la incontrava ultimamente in nessun luogo…
“Da quanto tempo non stiamo insieme, Armonia..” le disse Tempo mentre ballavano, ma, prima che lei potesse rispondergli con la sua voce melodiosa, la serenità della festa venne interrotta dall’arrivo di Pace che entrò piangendo nel salone, spettinata, confusa, sporca, con i vestiti laceri…
“Perché piangi?” le chiese con affetto Tempo. “Per la commozione, mio signore -rispose Pace- questo è l’unico invito di questi ultimi anni, apparentemente tutti mi cercano e mi vogliono, ma quando io, con fatica, giungo da lontano, nessuno più mi apre la porta e mi fa entrare, tutti sono sordi alla mia voce. ..Piango di commozione perché pensavo che sarei stata rifiutata anche qui!”
Tempo fece una leggera carezza a Pace poi l’affidò ai suoi servitori perché l’accompagnassero nelle stanze degli ospiti più graditi in modo che lei si ristorasse almeno un poco. Intanto altri ospiti arrivarono, ma Tempo non fece loro caso, impegnato com’era a parlare di Pace con Armonia, in un angolo della sala.
A metà festa Pace riapparve nel salone ed era talmente bella da essere quasi irriconoscibile. I capelli fluttuavano lunghi e morbidi nell’aria, il suo volto era giovane, rassicurante, sorridente, indossava un abito fatto con i colori dell’arcobaleno che terminava con una lunga stola sulle spalle. Da lei emanava un profumo tenue, dolcissimo, che accarezzava le persone infondendo in loro un senso di serena fiducia. Tutti al suo passaggio sorridevano. Fu in quel momento che Futuro, il più giovane figlio di Tempo, s’ innamorò perdutamente di lei, senza saper neanche chi fosse. Fu un vero e proprio colpo di fulmine. Fece qualche passo per avvicinarsi a Pace, ma Odio subito lo fermò e ridendo gli disse: “Dove credi di andare? Non vedi che è la stracciona di prima? Vuoi farti deridere da tutti i presenti?”
“Non mi importa!” ribattè Futuro, che prima di allora non si era mai innamorato e non riusciva a descrivere, neppure a se stesso, quel che provava. Aveva un unico desiderio: vivere per sempre con Pace accanto. Ma se lui non si era mai innamorato, molte donne si erano, invece, innamorate di lui ed Energia e Solidarietà, gelose , lo misero in guardia: “Attento Futuro, anche i tuoi fratelli maggiori, Presente e Passato, hanno cercato di conquistare Pace, ma lei è sempre sfuggita a tutti, Pace è difficile da trattenere… Osserva come la guardano da lontano.. .eppure la evitano.. .li ha delusi.” La paura di fare un torto ai fratelli trattenne Futuro che non si avvicinò più per tutta la sera a Pace. La festa finì e uno dopo l’altro gli ospiti se ne andarono,
Tempo continuò a fare il suo lavoro. Tutto sembrava procedere come prima, ma Futuro era sempre
più triste. Era chiuso in se stesso, buio e malinconico, e quando, svolgendo il compito che il padre
gli aveva assegnato, vibrava davanti agli uomini, non portava più la luce di una ragione per vivere,
ma solo una grigia tristezza. Un giorno Tempo, il suo anziano padre, gli chiese il motivo di tanta infelicità. “Non capiresti, padre”
“Tu sai che io capisco la ragione di ogni cosa, ti prego abbi fiducia, parlami”
Allora il giovane piangendo aprì il suo cuore al padre e gli raccontò il suo amore impossibile, il suo
sogno di vivere insieme a Pace per sempre. Tempo sospirò, pensando al suo sogno di vivere con Armonia (che era in realtà sua sposa e madre dei suoi figli, ma che, delusa dal mondo, viveva appartata), poi rispose a Futuro: “Lasciami pensare…” Silenzioso se ne andò lasciando solo il giovane, poi telefonò ad Armonia cui raccontò il dolore del figlio. Dopo aver parlato con la dolce sposa, tornò da Futuro sorridendo e gli disse. “Come dono di nozze Armonia ti regala l’isola della Libertà, in mezzo sorge il castello dell’Uguaglianza, porta Pace in quel luogo e vedrai che sarete felici. Naturalmente devi convincerla a credere in te. Ma questo è un compito solo tuo.” Futuro ringraziò il padre e cercò ovunque Pace girando intorno al mondo; chiese di lei a mille uomini, alcuni importanti altri meno…tutti l’avevano in mente ma nessuno sapeva dirgli esattamente dove trovarla… Futuro si sentiva sempre più stanco. Un giorno, all’improvviso, il cellulare di Futuro suonò: la musica vibrava di note melodiose e prima ancora di rispondere Futuro sapeva che l’aveva chiamato Armonia. “Futuro, non cercare inutilmente: aspetta la notte e poi visita i sogni dei bambini del Mediooriente, in molti di quei sogni Pace è presente per far loro una carezza e farli dormire tranquilli” Così quando la notte con la sua ala scura copri il giorno degli uomini, Futuro percorse i sogni di quei bambini e osservò la dolce Pace cullare quei piccoli cuori affaticati dalle tensioni del giorno. Allora l’abbracciò e le disse con dolcezza: “Ti ho ritrovata, vieni, ti prego, con me” Pace sorrise e l’abbracciò a sua volta e in quel momento, proprio durante quell’abbraccio, i sogni si illuminarono dei colori dell’arcobaleno, sorpresa Pace prese per mano Futuro e gli disse:”Verrò con te ovunque tu vorrai, ma per stanotte, per una notte sola, se mi ami, seguimi” Futuro non disse di no e non ripetè così l’errore fatto dai suoi fratelli più vecchi. Lui seguì Pace e insieme illuminarono i sogni buoni di ogni bambino, di quello che soffriva la fame, di chi voleva studiare e non poteva, di chi voleva l’accordo in famiglia, di chi voleva giocare col compagno che aveva un altro colore di pelle dal suo… Quella fu una notte di luce, perché fu una notte di sogni d’amore. In quel lungo giro la stola di Pace circondò la terra con i mille colori dell’arcobaleno. Pace si accorse di averla perduta solo quando giunsero nel castello dell’isola, ma poco le importava. Lei e Futuro si erano incontrati dentro i sogni, dentro i sogni dei bambini che, come tutti sanno, sono gli unici sogni che preparano la realtà, che anticipano il mondo che verrà, e Pace sapeva che l’attendeva una vita felice.
Pace e Futuro si sposarono e vissero insieme felici e contenti. Pace fu accettata da tutti e Futuro non pianse mai più, né si rattristò quando lo specchio gli mostrò la sua immagine sempre più simile prima al volto del fratello Presente, poi a quello del fratello più anziano, Passato. Non gli importò di invecchiare perché sapeva che suo padre Tempo doveva continuare a fare il suo lavoro e perché trascorreva la sua vita vicino alla donna che amava, e, grazie a questo, continuava a vedere fiori sbocciare ovunque, sia sulla terra che dentro al cuore degli uomini, perché nel mondo era sempre rimasto vivo il ricordo di un sogno infantile con i colori dell’arcobaleno in una notte di luce.

Stretta è la foglia, larga la via.
Voi dite la vostra, io ho detto la mia..
E se voi bambini a quanto ho detto non credete,
dormite sereni e Pace sognerete….

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Un sogno… non solo mio!

24 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Prima Classificata “Una Favola giovane” sezione Scuole Primarie

Un sogno… non solo mio!

di Claudia di Marco da Mazara del Vallo
Scuola Primaria Statale “G.B. Quinci” IV Circolo Didattico, Mazara del Vallo

Sai maestra… ti ricordi quando a scuola ci hai parlato degli ebrei morti nei campi di concentramento, di tutte le vittime che ha fatto la guerra e di tutte le guerre che ancora si continuano a combattere? Beh, il mio cuoricino è rimasto molto turbato e una notte ho sognato che…
…Grossissimi aerei guidati da cattivissimi uomini lanciavano bombe, terrorizzando tutto il paese.
Dovunque si sentivano grida di mamme e bambini soli. Ad un tratto sentii in lontananza il pianto di una donna. Mi avvicinai e, con grande sorpresa, vidi una ragazza bellissima vestita di bianco, ma con il viso tutto insanguinato. Singhiozzava, era disperata e tra le lacrime mi disse di chiamarsi Pace.
L’abbracciai per dare un po’ di calore al suo corpo che tremava. Mi raccontò che ormai per lei non c’era più posto sulla Terra: il cuore degli uomini era dominato dalla guerra e dall’odio. I bimbi in TV non potevano più vedere cartoni animati, ma solo scene di guerra e di violenza. Io ascoltavo con gli occhi pieni di lacrime, adesso capivo: Pace, stava per morire ed io dovevo fare qualcosa.
Corsi in strada a chiamare tutti i bambini che incontravo, ne trovai più di cento. Andammo da Pace, la prendemmo in braccio e cominciammo a farla girare per le vie della città. Era un po’ pesante per noi piccoli ma la forza che avevamo dentro ci faceva superare ogni cosa. Piano piano, come per miracolo, gli aerei sparirono, le bombe si trasformarono in fiori dai vari colori, le strade si ripulirono e tornò a splendere il sole.
Pace, ad un tratto, sorrise e, guardando il cielo, si trasformò in una colomba bianca. Volevo prenderla ma lei volò via…
…sai maestra, quando mi sono svegliata, ho trovato una piuma sul mio cuscino…..

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Il rovo premuroso

24 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Prima Classificata “Una Favola giovane” sezione Scuole Secondarie di Primo Grado

Il rovo premuroso

di Claudia Mariella da S.Vito
Scuola Secondaria di Primo Grado “A.Volta”, Taranto

Era una notte silenziosa e stellata, Karim non ne vedeva una così da molti mesi. Lui è un bambino di nove anni che viveva con sua madre ed i suoi tre fratelli più piccoli in una casa molto misera a Baghdad. Erano molti giorni che non usciva di casa e non vedeva i suoi amici di strada, perché le strade erano piene di soldati che andavano e venivano da tutte le parti. C’era insomma una gran confusione, ma che cosa stava succedendo? Suo padre non lo vedeva ormai da tanti mesi e aveva chiesto sempre a sua madre dove fosse andato, e lei piangendo gli rispondeva: “Tornerà presto!”
Così anche i suoi amici vivevano con le loro madri e Karim passava le sue giornate, quando non andava a scuola e aveva il permesso di uscire per strada, con tutti loro. Finalmente tutta quella gran confusione di quei giorni finì e tornò la tranquillità, niente più aerei, niente più carri armati, niente più bombe, solo un gran silenzio. Così Karim ed i suoi amici potettero uscire a correre per le strade verso i campi. Alcuni dei suoi amici non potevano correre perché, erano mutilati delle loro gambe perchè erano andati a finire sulle mine antiuomo nascoste sotto la terra ai confini del paese. Alcuni erano morti. Perciò dovevano fare attenzione a dove poter andare a giocare.
Trovarono un campo dove l’ erba stava ricominciando a crescere così decisero di fermarsi lì per giocare a pallone. Avevano fatto una palla di stracci e Karim formò le squadre. Il suo amico Omar era in porta, un avversario lanciò la palla oltre la porta. Karim si offrì di andare a recuperare la palla. La palla era andata a finire su un cespuglio di rovi, e per non pungersi Karim la recuperò con un bastone di legno. Gli sembrò, mentre la prendeva in mano, che una voce avesse parlato, dicendogli: “Vai via di qui, subito!” Ma non ci pensò più di tanto credendo che erano le voci dei suoi compagni. Continuarono a giocare, ma un altro tiro mandò di nuovo la palla su quel cespuglio.
Ma questa volta appena si avvicinò sentì chiaramente la voce, che proveniva dalla pianta che diceva: “Allora sei veramente stupido! Ti ho detto di andare via e di non avvicinarti più a me.”
Karim rispose: “Ma chi sei? Non vedo nessuno!” “Sono io! Il cespuglio di rovi!” “Oltre che una brutta pianta sai pure parlare?” Gli rispose Karim. “Purtroppo il mio aspetto è orribile per un motivo preciso cioè tenere lontano i bambini della mina che è sotto di me.”
Karim rimase a bocca aperta e cominciò a pensare al pericolo che aveva corso andando a recuperare la sua palla e come quella pianta amica l’avesse salvato: “Posso andare a chiamare i miei amici e raccontargli di te?” “Certo!” Rispose il cespuglio. Karim corse indietro, radunò i compagni e raccontò loro che cosa era accaduto. Omar pensò che si era inventato tutto. Ma appena arrivarono in prossimità della pianta, questa disse: “Ciao a tutti voi!”
I bambini rimasero senza parole. Allora il cespuglio ricominciò a parlare: “La guerra sta per finire, ma nei campi dove andate a giocare ci sono mille pericoli come quello che è sotto di me, perciò dovete fare attenzione perché la natura vi aiuterà, dove ci sono piante con le spine come le mie, lì sotto c’è una mina. Siamo cresciute apposta per proteggere i bambini. Se volete ricominciare a correre spensierati dovete avvisare tutti gli adulti che vi possono aiutare a cercarci e a disinnescare le mine sotto di noi.” I bambini increduli, la ringraziarono e seguirono il suo consiglio, dispiaciuti del fatto di non poterla rivedere mai più. Passarono alcuni mesi e Karim ricordò con tristezza quella pianta amica, la natura l’aveva aiutato a salvare molti bambini. In altre parti del mondo l’uomo continua a nascondere le mine nel terreno, perciò altri bambini muoiono o sopravvivono mutilati e non sempre ci sono i rovi a salvarli.

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Spazio infinito

24 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Prima Classificata “Una Favola giovane” sezione Scuole Secondarie

Spazio infinito

di Elisa Masinara da Casalecchio di Reno
Liceo “Leonardo da Vinci”, Casalecchio di Reno

Spazio infinito. Terra. Avvicinati ancora…vieni avanti…Amsterdam. Corri, presto entra. Casa mia. Eccoti finalmente! Questa è una favola un po’ fuori dal comune, che racconta i sogni di un bambino che ho conosciuto tanto tempo fa. Un bambino che anche quando divenne adulto continuò a guardare le cose con gli occhi ingenui di un bambino. Era testardo, e io gli ho sempre fatto credere di odiarlo, ma in realtà per me era linfa vitale. Entrava in casa mia e portava con sè il profumo della primavera, il profumo del mare, il profumo dei ciliegi in fiore. E questa è la sua storia. Era una grigia mattina di novembre, e io mi sentivo già molto vecchio. Era il 1940. Piombò in casa mia trascinato dal padre, un burbero uomo molto alto e molto ingombrante che a malapena passava dalla porta di casa, si portava dietro un piccolo peluches che forse in origine doveva avere avuto la forma di un orsetto, ma che sicuramente aveva visto tempi migliori. Non sapevo per quale ragione quei due fossero nel mio salotto ma offrii comunque loro del tè e dei biscotti. Il bambino si chiamava Klaus e aveva dieci anni. Chiesi cosa volevano da me e il padre mi rispose che desiderava che io istruissi il figlio perché non aveva abbastanza soldi per mandarlo a scuola. Voleva che gli insegnassi a far di conto, a leggere, a scrivere e qualche nozione di storia e geografia. Non saprei dire perché in questo momento, fatto sta che accettai quella assurda proposta e mi improvvisai insegnante. C’era qualcosa in quegli occhi grandi che mi aveva rapito. Ero come assuefatto, come quando si fuma l’oppio. Iniziammo l’indomani e subito nella prima lezione mi trovai davanti a un duro ostacolo. A Klaus non interessavano né i calcoli, né le poesie. Lui voleva sapere come girava il mondo, voleva sapere perché stava scoppiando di nuovo la guerra, voleva sapere tutto sulla guerra appena trascorsa e continuava a ripetere “Ma perché non fanno la pace quelli là che governano gli stati? Anche io e Leopoldo litighiamo ma poi alla fine facciamo sempre la pace”. Ora, tralasciando che Leopoldo era il suo orsacchiotto, Klaus aveva colpito nel segno: da anni mi chiedevo anche io la stessa cosa. A sentirla uscire dalla bocca di un bambino sembrava la cosa più facile del mondo; come potevo spiegargli che non sarebbe stato così semplice? Continuava a ripetere che quando sarebbe cresciuto ci avrebbe pensato lui, sarebbe diventato colui che poteva donare la pace a tutti. Mi irritavo terribilmente quando mi diceva queste cose, perché pensavo di essere più maturo di lui e quindi di sapere benissimo come funzionava il mondo. Odiavo quel bambino con tutto me stesso per la sua arroganza, per quella sicurezza che gli invidiavo, perché io non l’avevo mai avuta, per la sua impertinenza, per la sua ingenuità. Eppure ogni volta che entrava in casa mia era come se fumassi l’oppio. Ero in pace con me stesso e sognavo mondi lontani, fuori dalla guerra e dalla follia del nostro tempo. In quella prima lezione mi limitai a spiegargli come andò la prima guerra mondiale, cercando di non prenderlo a calci, ma quando uscì di casa non sembrava soddisfatto. Quando usciva correva. Non so perché lo facesse e mi dissi che doveva avere fretta quel giorno, poi cominciai a osservarlo ogni giorno, e per un mese lui usciva e correva. Decisi di seguirlo. Usciva da casa mia, correva, correva. Si fermava in mezzo a un ponte gettava un sasso nel fiume e… correva. Scoprii che abitava in una casetta più bassa delle altre in una zona del centro. Lo vidi entrare in casa e aprire le finestre, sedersi sul davanzale e guardare fuori con aria di chi sogna… di chi spera. Tornai a casa tranquillo, pensando a Klaus e ai suoi sogni. Dovevo aiutarlo. Dovevo dargli la possibilità di cambiare il mondo. Di portare la pace. Non sapevo come avrei fatto e non sapevo perché corresse in quel modo per tornare a casa, anche se sognai che fosse desiderio di libertà. Rientrai in casa e vidi quanto era buia e vuota senza quel bambino con il suo orsacchiotto e le sue obiezioni. Nei giorni che seguirono cercai di rispondere a tutte le sue domande, sperando di farlo contento e di placare la sua curiosità, ma lui ogni giorno arrivava e mi sottoponeva nuove domande. Erano passati ormai quattro mesi e la primavera era alle porte, quando una mattina entrò in casa in lacrime stringendo il suo orsacchiotto. Mi buttò le braccia al collo, cosa che mi lasciò perplesso perché non ci ero abituato, e pianse. Gli accarezzai la testa e cercai di capire cosa aveva. Era tutto inutile: non voleva parlare. Piangeva e basta. Gli diedi un po’ di tè e lo feci sedere sul divano. Passarono le ore e lui si calmò. Aprì la bocca e ne uscì un’unica frase nitida e chiara “Sono rimasto solo”. Non capii subito cosa volesse dire, non feci domande ancora per qualche minuto poi chiesi spiegazioni. Un fiume di parole uscì dalla bocca di quel bambino. Parole di rabbia, parole di terrore. Mi disse che suo padre era partito per la guerra, volontario nell’esercito francese. Lo abbracciai e chiesi dove fosse sua madre; un altro fiume di parole e di lacrime, questa volta però di dolore e di colpa. Sua madre era morta dandolo alla luce. Non mi azzardai a chiedere altro, preferii tacere. Gli dissi che se voleva poteva stare da me, che ci avrei pensato io a lui. Gli dissi di andare a prendere le sue cose e di tornare qui. Uscì di casa. Non piangeva più. Non correva più. Forse la libertà non gli interessava più voleva solo la sua famiglia. Tornò da me in serata, mi chiese dove avrebbe dormito. Glielo indicai, prese la sua coperta e si appoggiò su quello che sarebbe diventato il suo letto e si coprì la testa con il cuscino. Non lo sentii emettere nessun suono. Mi avvicinai a lui e lo ascoltai. Respirava e piangeva. Lui, che aveva sognato una pace per tutti, era stato privato dell’unica persona che gli era rimasta da una guerra crudele. Ora più che mai aveva bisogno del mio aiuto. Passò una settimana dove non ci dicemmo molto. Poi tutto a un tratto Klaus cambiò, qualcosa scattò in lui e mi disse che voleva riprendere le lezioni, voleva sapere tutto, voleva ascoltare la radio, voleva sapere come andava la guerra. Mi stupii molto di questo cambiamento e pensai che doveva avere una personalità davvero forte. Lo ammirai e lo invidiai per quella curiosità che non aveva certo caratterizzato la mia vita. Io ero codardo, lui era coraggiosissimo. Era arrivato il momento di fare della mia vita qualcosa di utile: dovevo dare a Klaus quello che voleva. Presi tutto il coraggio che avevo e gli dissi che lo avrei iscritto a scuola. Sarebbe stato un sacrificio, perché i soldi erano pochi, ma lui doveva avere la possibilità di essere istruito a dovere. Mi fu molto grato di questa decisione, perché aveva capito che era un periodo difficile, e mi disse che un giorno mi avrebbe ripagato. Pensavo che fosse una promessa vana, priva di senso; mi sarei accorto solo dopo molti anni che lui ce l’avrebbe messa tutta per ripagarmi e ci sarebbe riuscito. La mattina andava a scuola e il pomeriggio quando tornava mi raccontava ogni cosa che aveva imparato; era molto bravo e veloce nell’apprendere, mi faceva sentire molto felice. Non rimpiansi mai quegli anni di vita un po’ stentata, a causa dall’ingente somma che mi serviva per mantenerlo a scuola, sperai solo che la guerra finisse presto. Gli anni passarono: era il 1943. Quella mattina di marzo ci sconvolse la vita. Klaus aveva 13 anni. Arrivò il postino con una lettera, anzi due lettere: erano due convocazioni dei tedeschi per andare nei campi di lavoro in Germania. Eravamo ebrei e dovevamo aspettarcelo. La Germania aveva occupato il paese tre anni prima creando molti disagi, molte famiglie ebree con il pretesto dei campi di lavoro erano sparite nel nulla e la voce che fossero state sterminate era sempre più incalzante. La notizia ci diede un brutto colpo. Klaus si trovava combattuto tra i suoi ideali che da sempre aveva sostenuto e l’imposizione di un regime non suo che però poteva disporre della sua vita come voleva. Io ero preso dal panico, purtroppo non avevo nobili intenzioni come lui, volevo solo morire di vecchiaia. Decisi che era meglio partire e tentare la fuga una volta arrivato in Germania oppure durante il viaggio. Klaus, invece, era distrutto: non sapeva cosa fare. Sapeva solo che non voleva morire perché voleva realizzare il suo sogno. Si rannicchiava nel suo letto e parlava nel sonno. Passandogli accanto lo sentivo chiedersi cosa avrebbe fatto suo padre: sarebbe fuggito o si sarebbe sottomesso al regime? e cosa invece voleva lui. Infine decise di partire con me. Lasciammo la nostra casa tristi e impauriti. Ci caricarono sul treno e facemmo un lungo viaggio. Una notte ci fermfermammo improvvisamente. Non so cosa fosse accaduto al treno, ma si fermò. Klaus non ci pensò due volte, mi scosse dal mio giaciglio e mi disse di fare piano. Sgattaiolammo fuori dal treno e forse il Signore quella notte ci dimostrò di esistere davvero, perché nessuno si accorse di niente. Fuori dal treno Klaus mi disse un’unica parola “Corri”. Lo seguii. Lui correva. Come quando tornava a casa, correva. E questa volta ero sicuro che fosse mosso da desiderio di libertà. Ci addentrammo in una foresta senza mai smettere di correre. Ad un tratto sentimmo dei rumori e fummo circondati. Erano soldati francesi. Ci chiesero chi fossimo. Raccontammo la nostra storia e loro ci accolsero e ci diedero da mangiare. Dopo aver dormito un po’ ci chiesero che intenzioni avevamo. Rispondemmo che avremmo fatto qualsiasi cosa pur di non essere trovati dai tedeschi. Ci chiesero di arruolarci nell’esercito francese. Accettai anche se sapevo che probabilmente non sarei morto di vecchiaia. Klaus era indeciso. Aveva la pace nel cuore, non voleva diventare un soldato. Alla fine cedette pensando che quell’incontro forse era un segno del Signore per aiutarlo a realizzare il suo sogno. Dopo averci portati a Parigi, forniti di armi e divise, ci mandarono a combattere in Italia. Io venni mandato al nord ad aiutare i partigiani, lui al sud in Sicilia, tra quelli che cercavano di facilitare l’arrivo degli Alleati. Prima di separarci chiedemmo che ci fossero comunicate notizie l’uno dell’altro in caso di morte. Ci salutammo e Klaus mi ringraziò ancora per quello che avevo fatto per lui. Dissi che non ce n’era bisogno perché tanto non era servito a nulla. Ci augurammo buona fortuna. Ci separammo nell’aprile del 1943, un mese dopo l’arrivo della lettera. Da qui le nostre storie si dividono e io non ebbi molta fortuna. Mi ferirono gravemente durante un assalto alle trincee nemiche e fui rimandato a casa mia. Non mi ripresi più da quel colpo, rimasi paralizzato e dovetti assumere qualcuno che badasse a me. Non so se Klaus seppe mai di tutto questo. Io non ricevetti nessuna notizia di lui e vivevo nella speranza che non ne arrivassero dall’esercito perché il mio cuore non avrebbe retto se avessi saputo che era morto. Quello che sto per dirvi ora lo seppi dopo la fine delle guerra, da una lettera anonima che portava un indirizzo finlandese al posto del mittente. Dalla lettera e da quelle che ne seguirono seppi che Klaus in Sicilia era riuscito a contattare gli Americani e con molto coraggio aveva dato loro la possibilità di rompere le difese tedesche ed entrare in Italia per liberare il paese dal regime nazista. Combatté al loro fianco con dedizione e aiutò bambini e donne portando un po’ di sollievo. Quando la guerra finì chiese soltanto un biglietto aereo di sola andata per una qualsiasi capitale europea. Gli americani gli diedero ciò che chiedeva e quando gli offrirono denaro disse di non volerne, perché del denaro non sapeva che farsene. Chiese di aiutarlo a portare la pace nel mondo. Nessuno capì cosa intendeva. Klaus partì per la Finlandia e là realizzò il suo sogno. Ogni anno lui porta la pace a tutti quanti come aveva sempre desiderato. A me ha portato l’orsetto di peluches che non ho mai avuto, perché i bambini che sono cresciuti durante la prima guerra mondiale non avevano peluches. E a voi?

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Concluso il 17mo Congresso Mondiale IPPNW

14 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

“SE VUOI LA PACE, LAVORA PER LA SALUTE”
E’ il titolo del documento finale (clicca su “Leggi tutto”!) scaturito dal 17° Congresso Mondiale dell´Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare (IPPNW), tenutosi a Helsinki tra l’8 e il 10 settembre 2006.

IPPNW (International Phisicians for the Prevention of Nuclear War) è un’organizzazione di medici e specialisti a livello mondiale che lavora attivamente per la prevenzione di futuri conflitti atomici, secondo le proprie specificità professionali.


SE VUOI LA PACE, LAVORA PER LA SALUTE

Dichiarazione del 17mo Congresso Mondiale
dell´Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare

Helsinki, Finlandia, 8-10 settembre 2006

Piu di 60 anni fa, i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki notificarono al mondo che stiamo vivendo in un tempo terribile. Piu´di 40 anni fa, medici e scienziati descrissero come una guerra nucleare ucciderebbe decine di milioni di persone indiscriminatamente, distruggerebbe intere societa´ed ecosistemi, e causerebbe cancri e danni genetici nelle generazioni ancora non nate. Nel tempo abbiamo appreso che, nel caso peggiore, uno scambio nucleare che coinvolgesse migliaia di testate nucleari causerebbe un inverno nucleare che porterebbe all´estinzione dell´umanita´.

Quasi dal momento che le prime foto di Hiroshima e Nagasaki vennero pubblicate, il popolo del mondo comincio´ad organizzarsi per richiedere che queste armi di sterminio di massa non venissero usate mai piu´. L´appello radiofonico del 1957 del dr. Albert Schweitzer di protesta contro le armi nucleari – che lui chiamo´la sua Dichiarazione di Coscienza – getto´le basi mediche e morali per l´abolizione delle armi nucleari e della guerra stessa.

Mentre l´IPPNW riunisce il suo 17mo Congresso Mondiale ad Helsinki, le scelte tra guerra e migliori percorsi di pace, salute, e sicurezza per il popolo di tutto il mondo – addirittura la stessa sopravvivenza dell´umanita´ sulla terra – sono tanto urgenti come non sono mai state fin dalla fine della Guerra Fredda.

Il Medio Oriente ha appena sofferto un altro parossismo di guerra, il cui risultato e´stato che le popolazioni di ogni parte di questo conflitto che dura da decadi sono state I reli perdenti. L´Iraq e´caduto nel caos come risultato di una guerra preventiva e di occupazione basata sul falso clamore che l´Iraq avesse armi di distruzione di massa. Piu´di 100.000 persone – soldati e civili – hanno gia´perso le loro vite per quella guerra illegale; sono stati sperperati centinaia di miliardi di dollari che avrebbero potuto essere investiti in salute reale e sicurezza per la regione e per il mondo; ed il quotidiano gran numero di colpiti continua ininterrottamente.

La polarizzazione tra il Nord globale ed il Sud globale – una delle cause maggiori di guerra del nostro tempo – si manifesta in grosse iniquita´ nelláccesso alla salute, all´educazione, alla protezione dell´ambiente, ad un progresso economico sostenibile, ed alla sicurezza per miliardi di persone nel mondo. Queste iniquita´esacerbano I conflitti e conducono alla militarizzazione, alla violenza armata, ad atti di terrore, alla guerra. La violenza causata da piccole armi, infatti, e´uno dei principali problemi di sanita´pubblica, e costa decine di migliaia di vite causando centinaia di migliaia di feriti ogni anno in ogni parte del mondo. Una delle chiavi per risolvere I problemi di un equo, sostenibile e pacifico sviluppo globale sara´ assicurare che I paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati abbiano accesso e risorse energetiche pulite, sicure e rinnovabili. L´energia nucleare, che e´inestricabilmente legata alle armi nucleari, deve essere nel tempo abbandonata insieme ad esse in quanto rischio inaccettabile per il futuro.

Come medici, noi siamo obbligati a prevenire la guerra e ad agire per il ristabilimento di condizioni di sicurezza globale fondate salla salute e sui diritti umani. Comunque, lóbiettivo preminente che ha definito la missione dell´IPPNW per piu´ di 25 anni rimane immodificato. Noi non vediamo segnali secondo cui gli Stati Nucleari intendono eliminare le proprie armi nucleari, come si sono impegnate a fare con l´Articolo VI del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT), e come ha affermato la Corte Internazionale di Giustizia dicendo che sono obbligati a farlo dal diritto internazionale. Al contrario, alcuni Stati Nucleari adesso parlano apertamente dell´uso in battaglia di armi nucleari. Questa minaccia porta molti paesi ad acquisire proprie armi nucleari come deterrente ed aumenta il rischio del terrorismo nucleare.

L´abolizione delle armi nucleari e´un obiettivo imperativo per la sicurezza umana che non puo´piu´essere rimandato. Gli Stati Nucleari e gli Stati non nucleari debbono giungere insieme senza altri ritardi all´avvio di negoziati per una Convenzione sulle Armi Nucleari.

La sicurezza degli USA aumenterebbe enormemente in un mondo senza le armi nucleari, ed essi dovrebbero provvedere a dotarsi di una leadership necessaria a raggiungere tale scopo. La Russia, invece di sperperare risorse su nuovi missili a testata multipla destinati a superare le difese missilistiche degli USA, dovrebbe unirsi agli USA per fondare pienamente e sviluppare un programma di smantellamento che distrugga le proprie armi nucleari rimanenti e per mettere in sicurezza tutti I materiali fissili in modo che siano impossibili da raggiungere da parte di terze parti.

La Gran Bretagna, invece di rimpiazzare la sua forza sottomarina di missili Trident con un nuovo sistema strategico di armi nucleari, deve dichiararsi il primo Stato non nucleare dei cinque originali che diventa uno stato non nucleare, diventando esempio morale per tutti gli altri. La Francia, che ha recentemente dichiarato che non esiterebbe ad usare armi nucleari in risposta al terrorismo, deve abbandonare I piani per un nuovo missile nucleare a lungo raggio e mostrare una leadership morale nel rendere l´Europa una zona libera da armi nucleari. L´Unione Europea, invece che continuare a vivere con le contraddizioni esistenti tra politica nucleare della NATO e le obbligazioni dell´Articolo VI per gli stati europei, deve decidere la rimozione delle armi nucleari tattiche USA dal suolo europeo, e la fine delle politiche nucleari che hanno evaso lo spirito, se non la lettera, del NPT. India e Pakistan, invece che accelerare la corsa alle armi nucleari che, a dir poco, priverebbe le loro economie di risorse vitali per il servizio sanitario, l´educazione e lo sviluppo, e che peggio potrebbe portare la regione ad essere un grande deposito di scorie radioattive, debbono rinunciare alle armi nucleari e sviluppare una leadership comune che porti a stabilire una zona libera da armi nucleari in Asia Meridionale. Israele, inveve di continuare a tenere celato il proprio arsenale nucleare dietro una politica di silenzio, dovrebbe eliminare le sue armi nucleari come parte di un insieme per creare una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente. La Repubblica Democratica della Corea del Nord deve abbandonare la sua futile richiesta di sicurezza dietro un arsenale nucleare e riabbracciare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. L´Iran deve dare al mondo inequivocabili assicurazioni di non avere intenzione di acquisire armi nucleari, ed il resto del mondo deve lavorare con l´Iran per assicurare che I propri bisogni di legittima sicurezza siano raggiunti.

Il mondo e´sfuggito fortunatamente alla catastrofe nucleare durante la Guerra Fredda. Non saremo cosi´ fortunati nel 21mo secolo se non fronteggeremo la sfida che abbiamo di fronte fin dal 9 Agosto 1945. Come Premio Nobel per la Pace e come federazione di medici che capisce che l´abolizione delle armi nucleari e´medicina preventiva su scala globale, noi richiediamo con urgenza agli Stati Nucleari – ed a quelli che flirtano con l´ambizione di diventare Stati Nucleari – di liberare il mondo dai nostri sei decenni di incubo nucleare.
Nota: Il sito ufficiale dell’International Phisicians for the Prevention of Nuclear War: http://www.ippnw.org
Il sito della sezione italiana di IPPNW: http://www.geocities.com/ippnwitalia
If you want peace, work for health!
The original statement: http://www.ippnw.org/HelsinkiCongressStatement.html

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